Regia di Glauber Rocha vedi scheda film
Come la maggior parte delle opere di Glauber Rocha, anche "Il dio nero e il diavolo biondo" è un film spiazzante, perché si allontana da quelli che fino ad allora erano stati i canoni cinematografici. Dal punto di vista narrativo, infatti, il film di Rocha potrebbe somigliare ad un western, dove però salta qualsiasi distinzione tra "buoni e cattivi". E' buono Manuel, il vaccaro sfruttato che uccide il padrone e si unisce ad una banda di predoni sanguinari? E' buono il Santo Sebastiao, frate massacratore (una sorta di Fra' Dolcino del Sertao) che sacrifica a Dio la vita dei neonati? E' buono Corisco, cangaçeiro (una sorta di bandito - giustiziere alla Robin Hood) che, dopo aver derubato i ricchi, li squarta ed evira? E' buono, forse, Antonio Das Mortes, sicario al soldo dei potenti, che ammazza a fucilate i cangaçeiros che infestano il Sertao? O sono migliori i suoi mandanti, che rappresentano la legge, ma una legge che significa sfruttamento e sopraffazione? Dopo una serie infinita di domande, non resta da dire che, forse, Rocha sostiene che nessuno è buono e che il mondo non è in mano a nessun dio e a nessun diavolo, ma è il risultato di quel groviglio di sentimenti che è l'uomo. E il regista brasiliano lo fa con uno stile personale, risultante da una miriade di influenze diverse, frullando esperienze che talvolta si erano sviluppate in contrasto l'una con l'altra. Balzano all'occhio reminiscenze del cinema di Ejsenstein ("Aleksandr Nevskij" e "Que viva Mexico!"), Buñuel ("Las Hurdes" e "Nazarin"), ma se ne potrebbero citare altri, da Stroheim a John Ford, senza trascurare l'approccio libertario della Nouvelle Vague ed ovviamente la letteratura sertaoense, con in testa Joao Guimaraes Rosa. A questo va aggiunto il temperamento anarcoide di Glauber Rocha (che abbiamo perso troppo presto), il quale, in questo film, firma il soggetto, la sceneggiatura, la regia e le canzoni della colonna sonora, che fortunatamente rifuggono dal malinconico ugegé-ugegé della musica carioca.
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