Regia di Monte Hellman vedi scheda film
Con questo anti-western, Hellman compie un primo tentativo di messa a punto di quel cinema "svuotato", affine a quello di Antonioni, che avrebbe raggiunto il vertice di espressività il decennio successivo con "Strada a doppia corsia", forse il migliore fra i grandi road-movies della New Hollywood. Qui, il punto di partenza è forse il mimimalismo di Boetticher, primo grande "svuotatore" dell'epica western, tuttavia ancora inserito nel modello iper-classico degli anni 50. Se però in Boetticher ciò che restava da questa erosione degli orpelli era l'evidenza plastica della figura e del gesto umano nello scenario naturale, in Hellman l'uomo non è altro che un fantasma, polvere nella polvere, annichilito da un West irreale, per paradosso, proprio per la sua distanza dal Mito della Frontiera decantanto da Ford e da altri classici. L'operazione riesce solo in parte, poichè in certi momenti l'approccio "esistenzialista" del regista appare troppo scoperto e, di conseguenza, si avverte una sorta di "retorica dell'alienazione" simile a quella di tanti superficiali epigoni del cinema d'autore anni 60. "Colline blu" resta, ad ogni modo, un capitolo importante, per quanto misconosciuto, dell'evoluzione del cinema western.
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