Regia di Nicola de Rinaldo vedi scheda film
Giulia ed Enrico sono in crisi. Lei lavora per i Beni culturali e sfoga nel suo lavoro tutte le sue frustrazioni e ansie. In particolare in questo momento è alla ricerca del manoscritto di Van Hecken, un pittore fiammingo, che la porta in luoghi reconditi della più misteriosa Napoli.
Come documentarista e soprattutto per la tv di Stato, da lungo tempo ormai – dai primi anni Settanta – Nicola De Rinaldo sta dietro alla macchina da presa, ma in un quarto di secolo di attività si era contata solo una regia a soggetto per lui, e cioè L’amara scienza, del 1985; la sua opera seconda arriva perciò nel 1999 con questo Il manoscritto di Van Hecker. Un film ambizioso che mostra buonissime propensioni all’illustrazione e una cura estetica piuttosto raffinata, ma che non offre granché di rilevante, di notevole nella storia; soggetto e sceneggiatura sono stati scritti da De Rinaldo insieme a Paolo Lo Giudice e sembrano guardare più al contesto e alle emozioni che all’azione e ai dialoghi, che pure un ruolo di primo piano in un’opera di questo tipo devono avere. Se poi si aggiunge che la protagonista è Barbara D’Urso, le notizie non esaltanti cominciano a diventare un po’ troppe; il resto del cast è altalenante, fra Renato Carpentieri, Alessandra Mastronardi, Gaetano Amato, Lorenza Indovina, Emilio Bonucci, Tina Femiano e Regina Bianchi, impiegati nei ruoli principali. Un’ora e mezza senza infamia, né lode, ma con qualche sbadiglio; il regista tornerà al cinema appena (dati i suoi precedenti ritmi) tre anni più tardi con La vita degli altri (2002). 3,5/10.
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