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Giuditta di Betulia

Regia di David W. Griffith vedi scheda film

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La recensione su Giuditta di Betulia

di EightAndHalf
8 stelle

Negli "assoluti" delle storie bibliche il cinema degli inizi ha trovato, come in Judith of Bethulia, una fonte di ispirazione e un tesoro sconfinato di storie da raccontare. Infatti dietro a una narrazione scandita dalle didascalie e regolamentata da sequenze di grande perizia descrittiva Griffith ha l'evidente intenzione di imprimere su una pellicola sentimenti enormi e magniloquenti allo stato puro, senza le contraddizioni dell'epoca moderna, limpidi nella loro configurazione, nell'altrettanto limpida e poco usurata arte cinematografica. Ricostruendo gli eventi che vedono come protagonisti Giuditta e Oloferne, sullo sfondo dell'assedio degli Assiri contro la città di Betulla, il regista americano, che da lì a poco avrebbe costruito una nuova 'grammatica' artistica in senso prettamente filmico (benché già qui ci sia una notevole maturità stilistica), narra attraverso due filoni tematici, quello della successione cronologica dei fatti e quello dei sentimenti dei protagonisti, non solo i due sovracitati, ma anche Naomi e Nathan, due poveri abitanti di Betulla. Dopo aver inquadrato le consuetudini della città, che deve la sua sopravvivenza alle riserve d'acqua che alcuni pozzi fuori dalle mura garantiscono, Griffith fa cozzare la volontà imperialistica di Nabucodonosor, incarnata da un perennemente coricato Oloferne (visto in questo senso con grande ironia pungente), e lo spirito debole ma patriottico della piccola città di Betulla, incarnato soprattuto da Naomi e Nathan. E' il personaggio di Giuditta, protagonista vera della vicenda, a colmare la storia di una complessa dinamica emozionale: se tutti i personaggi sono ben delineati nei loro ruoli, stampati perfettamente nella distribuzione caratteriale che una storia biblica può presupporre come base di una generica semplicità, Giuditta è un personaggio quasi manzoniano, combattuto fra eticità umana (ancor più che da passione) e eticità patriottica, poiché si comporta benevolmente nei confronti degli abitanti più poveri della città (lei è una vedova ricca, sempre seguita e aiutata dalla sua serva) ma è anche decisa a sacrificare per essi la propria statura morale. Come molti dipinti ci hanno raccontato, primi fra tutti il celeberrimo quadro di Artemisia Gentileschi (in cui Giuditta sembra però quasi senza scrupoli), la donna arriva a decapitare Oloferne, dopo averlo fatto innamorare di lei. Con notevole efficacia Griffith ci racconta i dubbi umanitari di Giuditta, che si lancia nell'omicidio "patriottico" e necessario di Oloferne anche se gravata della moltissima indecisione che Blanche Sweet rende con tutta la sua capacità recitativa. Tanta è la discrepanza interiore del suo personaggio che anche alla fine, benché sia un'eroina della sua città, celebrata da tutti, guarderà il cielo in un atto di totale asservimento, come appesantita dalla sua azione sanguinaria.
Di contro il personaggio di Oloferne, barba folta e corpo rilassato sempre sul suo divano, non lo si riesce ad immaginare come capitano di un esercito, vista la grandiosa tenda in cui si accomoda durante l'assedio e vista la sua natura profondamente viziata dai balli e dalla servitù che lo circonda (in questo senso entrano in ballo importanti differenze fra i servi di Oloferne e i servi di Giuditta, e il loro utilizzo diametralmente opposto seppur sottomesso a una grande devozione). Nonostante ciò Griffith rappresenta la grande sincerità emotiva (o anche la semplice [sincera] attrazione erotica) che Oloferne prova per Giuditta, tanto da renderlo completamente disinteressato ai balli in cui le sacerdotesse del tempio di Nin si esibiscono in sua presenza. E per rappresentare simile sentimento (o impeto, raffreddato dall'"instancabile" pigrizia) Griffith chiude la figura di Oloferne in un cerchio di luce mettendo in ombra le ballerine, quindi facendoci vedere gli eventi sotto gli occhi del protagonista maschile. E' certo Giuditta la responsabile diretta di ciò, essendo lei in questo caso infida e disinteressata alla bontà nei confronti di Oloferne, ma di quest'ultimo personaggio viene messa in luce anche la parte più umana e paradossalmente positiva, abbastanza da giustificare, comunque, i dubbi etici di Giuditta. Si può intendere, poi, simile volontà da parte di Griffith (di raccontare gli eventi attraverso i sentimenti dei suoi personaggi) come l'intenzione di separare nettamente i due snodi tematici, quello narrativo e quello emozionale-intimistico, in modo che la pellicola, sebbene essenziale e semplice, appaia stratificata e molto ben pensata. Così le scene kolossal, di grande impatto visivo e ben giostrate nel montaggio e nella loro dinamica realizzazione, sono parentesi alle varie umanità rappresentate, e in un certo senso, nella confusione, "celano" umanità, cosa che il cinema può finalmente scovare e esibire direttamente di fronte ai suoi spettatori, magari, come in questo caso, grazie a una perfetta ambientazione biblica.

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