Regia di David W. Griffith vedi scheda film
In perfetto equilibrio fra realismo e stilizzazione, narrazione e descrizione, prosa e poesia, è un film stupendo. Non conosco a fondo la storia del cinema muto americano, ma penso che in questo film ci sia davvero la quintessenza di Griffith, per temi e modi, con sublime essenzialità. La forma classica del cinema hollywoodiano al suo vertice espressivo: montaggio alternato, controcampo, combinazione razionale fra campi medi, dettagli e intensissimi primi piani. In questo film c'è già tutto Hawks, nella nettezza delle inquadrature e nella geometria del montaggio; ma rispetto ad Hawks ci sono un controllato lirismo e una cruda pietà nel ritrarre la figura femminile che semmai anticipano certo John Ford. Griffith dimentica qui il gigantismo, si allontana dagli States per approdare alla "vecchia" Londra, dove però dominano i medesimi istinti di violenza e sopraffazione, la brutalità del maschio e l'angoscia della femmina. In più, vengono lambiti temi come la spiritualità orientale, il razzismo, l'evasione dalla squallida quotidianità per mezzo di sostanze allucinogene, il feticismo come sublimazione degli impulsi erotici repressi. In questo film, l'eroina griffithiana Lillian Gish toglie davvero il respiro, un po' per la grazia degli scorci che l'autore le riserva, un po' per la naturale espressività del suo viso e del suo corpo. Penso che la sua Lucy sia un personaggio femminile memorabile, in barba alle solite accuse di idealizzazione dei caratteri, rivolte spesso al cinema di Griffith: lo sguardo, qui più che mai pieno e trasparente, fa la differenza e le cine-donne create da Griffith valgono quelle di Dreyer, Mizoguchi, Godard etc..
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