Regia di Steven Soderbergh vedi scheda film
Una donna e un giovane lavorano come operai in una spettrale fabbrica di bambole; la solitudine li spinge a solidarizzare, ma l’arrivo di una una ragazza madre un po’ sbandata rompe il loro fragile equilibrio. Solite esistenze squallide di uomini e donne feriti dalla vita nella profonda provincia americana. I dialoghi sono ostentatamente banali, non escono mai dai minuscoli orizzonti dei personaggi, e anche le reazioni di questi ultimi obbediscono a meccanismi elementari. Così, quando c’è da risolvere un caso di omicidio, le indagini approdano subito alla scoperta del colpevole: è quello che si indovina fin dall’inizio, a incastrarlo bastano addirittura le impronte digitali; ma il suo movente risulta comprensibile solo all’interno di un ambiente come quello descritto, che genera mostri dall’apparenza umana. Soderbergh continua ad alternare progetti ambiziosi e opere minuscole (questa deve essere costata due soldi); alternanti sono anche i risultati raggiunti, ma qui siamo su livelli buoni.
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