Regia di Steven Soderbergh vedi scheda film
Dopo metà film, stavo per urlare al capolavoro. Uno spaccato tanto stilizzato quanto realistico del precariato operaio negli USA più sommersi, come raramente si era visto nel cinema americano. Poi arriva la seconda parte, che ricorre abilmente alle convenzioni del giallo. Non ce l'ha fatta l'esteta Soderbergh a fare un film interamente "europeo" (la prima mezz'ora è degna di Dardenne o Kaurismaki, per la compostezza delle inquadrature, l'attendibilità dei personaggi, le finezze registiche ed interpretative): alla fine, ha sentito l'attrazione per il plot, per la quadratura del cerchio, quel richiamo mai sopito al cinema di genere con la necessità di appigliarsi alle sue "procedure". Resta però un convincente discorso, in chiave pessimistica, sulla solitudine di vite sfasciate, oppresse dal lavoro incessante, che nemmeno la solidarietà della provincia profonda più alleviare. Film molto meno ambiguo e reticente di quanto sembri, solo in apparenza affine alle ricerche vansant-iane, riconduce invece il post-moderno allo stadio iniziale della classicità, abbandona ogni velleità di erigere forzati teoremi psico-socio-antropologici e ci pone di fronte all'evidenza di una realtà tanto familiare e quotidiana da sembrarci aliena ed incomprensibile.
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