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Edmond

Regia di Stuart Gordon vedi scheda film

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La recensione su Edmond

di degoffro
7 stelle

“Lei vive una vita che non le appartiene” dice la chiromante a Edmond Burke mentre gli legge con inquietudine sempre più crescente le carte. Detto fatto. Edmond, stanco del suo lavoro in azienda, infastidito dall’ennesima futile polemica con la moglie che si lamenta del fatto che la governante ha rotto la lampada della camera da letto, prende una decisione radicale: “Me ne vado e non torno più. Non voglio più vivere questa vita. Non ce la faccio più!” . Con queste secche parole abbandona la stupefatta e furibonda compagna ed inizia a girovagare nella notte per le strade di una notturna e cupa Los Angeles che sempre più assomiglia a un girone infernale, cercando di seguire il consiglio datogli da uno sconosciuto incontrato occasionalmente al bar (piccola partecipazione di Joe Mantegna): “Devi trovare qualcosa che ti stimoli. La vita è troppo breve.” Tra prostitute, peep show, strip club, sex shop, truffatori da strada, banco dei pegni, rapinatori ed avvenenti e disponibili cameriere, tutta la follia, il razzismo e la rabbia repressi di Edmond, nel frattempo anche armatosi con un affilatissimo coltello, esplodono all’improvviso, portandolo ad azioni brutali e violente come l’omicidio. In carcere subisce soprusi ma forse trova finalmente quell’amore e quella sicurezza che cercava, come fa intendere l’ultima inattesa immagine. Da una piece del commediografo David Mamet un film che esplora con una freddezza dilaniante e con un cinismo crudele e spesso spietato l’insoddisfazione, l’abiezione ed il malessere dell’uomo di oggi (il testo di Mamet, scritto e messo in scena per la prima volta nel 1982 conserva una terrificante e perturbante modernità). “Tutti cerchiamo comprensione e non sappiamo dove trovarla” dice sempre l’uomo del bar al protagonista che annuisce convinto. Edmond (uno stratosferico William H. Macy) non trova comprensione nell’algida consorte (la brava Rebecca Pidgeon, nella vita moglie di Mamet), riesce a litigare con varie prostitute perché a suo modo di vedere gli chiedono troppi soldi per una prestazione, uccide senza pietà l’unica ragazza che sembrava in grado di condividere il suo smarrimento e il suo vuoto. “Abbiamo lasciato che la vita ci abbandonasse. Viviamo in un sogno, nella nebbia e siamo morti!” sostiene rassegnato il protagonista che non trova conforto nemmeno in Dio (memorabile il suo sfogo con il sacerdote in prigione quando si chiede “perché Dio non crea un nuovo giorno in una terra perfetta piena di vita e di aria dove le persone sono gentili e c’è lavoro per tutti?”). Per Edmond “ogni paura nasconde un desiderio” dunque “quando temiamo qualcosa credo che la desideriamo.” Dopo anni di prigione giungerà sereno alla constatazione che “non decidiamo niente della nostra vita. C’è un destino che determina la nostra sorte, per quanto tentiamo di cambiarla!” Ricco di dialoghi potenti e raffinati, diretto con sorprendente asciuttezza ed intelligenza da un misurato Stuart Gordon, già noto regista teatrale e amico di lunga data di Mamet di cui ha portato in scena diversi testi, poi, con il successo di “Re-animator”, al cinema specializzatosi in horror (e in fondo anche questo è un film dell’orrore ma ben più realistico ed inquietante), interpretato oltre che da un cast mamettiano doc, da tre giovani attrici (Denise Richards, Mena Suvari e Julia Stiles) che sembrano voler percorrere strade meno consuete di quanto facevano pensare i loro esordi, “Edmond” è una parabola amara e tagliente, a tratti quasi onirica pur nel suo palese e tangibile realismo, che, partendo da un soggetto non nuovo, (l’uomo che, stanco della sua vita monotona, mediocre e stressata, manifesta con violenza al mondo la sua insoddisfazione e frustrazione, tra gli esempi più recenti viene in mente il riuscito ma più spettacolare “Un giorno di ordinaria follia” di Joel Schumacher) riesce a giungere a conclusioni lucide, sferzanti, dolorose, forse solo a tratti ridondanti e didascaliche, mai comunque banali (non potrebbe accadere con David Mamet). Il tutto grazie ad una scrittura incisiva, caustica e spiazzante che ha pochi eguali nel panorama moderno e che, in modo esemplare e dissacrante, mette più di un brivido ricordandoci con schiettezza che “siamo come gli uccelli, sentiamo quando sta arrivando un terremoto. Percepiamo che arriverà un cataclisma.” Solo che, a differenza dei volatili, “noi non possiamo scappare.” Presentato fuori concorso nella sezione “Orizzonti” alla Mostra del Cinema di Venezia del 2005 e distribuito in sala con parecchio ritardo dalla Fandango.

Voto: 7

 

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