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The Exorcism of Emily Rose

Regia di Scott Derrickson vedi scheda film

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La recensione su The Exorcism of Emily Rose

di Decks
5 stelle

Derrickson vorrebbe proporci l'incertezza tra soprannaturale e scienza: tecnicamente ci riesce con un film diviso a metà, peccato che in fatto di scrittura penda per la prima così da sbizzarrire la sua vena orrorifica. Chi cerca brividi non sarà deluso grazie a dei buoni elementi, agli altri consiglio il ben più interessante "Requiem" di Schmid.

A rilanciare il sotto-genere degli horror con esorcismo dopo il flop de  "L'Esorcista - La Genesi" fu l'allora sconosciuto Scott Derrickson, che con questo suo secondo lungometraggio ebbe un forte incasso e apprezzamento soprattutto negli Stati Uniti e che, nel suo piccolo, ha riscritto le regole base (soprattutto a livello tecnico) del moderno film dell'orrore con possessione.

Prima di iniziare a intessere lodi e mancanze del film in questione però, è bene notare di come Derrickson già da questo lungometraggio si faccia riconoscere come regista per le masse, ai più scettici basti pensare alla direzione della grande produzione Marvel "Doctor Strange". Per alcuni versi non è affatto un male se pensiamo al successo del suo "Sinister", ma per altri lascia un po' a desiderare.

 

Mi è imprescindibile, dunque, iniziare dalle prime parole che ci vengono mostrate su schermo: "basato su una storia vera". Sappiamo tutti di come il tam tam mediatico sfrutti questa semplice frase per dare un senso ancor più orrorifico al narrato, ed ormai questo giochetto ci è venuto così alla nausea che a malapena ci facciamo caso. Se in altri film (come il "Conjuring" di James Wan) ciò non reca alcun fastidio, al contrario in questa opera seconda di Derrickson è grosso elemento di disturbo per il fatto che il regista di Denver abbia cercato di conferire un aspetto realistico alla pellicola con elementi di courtroom drama; peccato che questa impresa fallisca fin da subito per il fatto che Derrickson, forse non volendo, pende inesorabilmente dal lato più paranormale della faccenda.

L'equilibrio tra processo e flashback tenebrosi è mal organizzato, soprattutto nella prima parte che è praticamente assente di tensione per chiunque abbia visto più di un film del genere, inoltre, è piuttosto sbrigativo nel voler mostrare il prima possibile i perchè di quel processo giudiziario, così da portare in aula i suoi protagonisti.

 

 

Le colpe maggiori di Derrickson, comunque, non sono tanto nel saper creare una certa atmosfera grazie alla cinepresa, anzi, la sua regia fa affidamento su movimenti contorti e spesso visionari davvero interessanti, e che molti nuovi cineasti copieranno negli anni a venire, basti pensare alla lunga e forte scena del tragitto di Emily fino alla chiesa.

Il problema grosso sta nella sceneggiatura: clamorosamente flebile è la documentazione sul reale caso di Annaliese Michel, al punto tale che chiunque può approfondire con una semplice ricerca su internet; Derrickson è superficiale nel trattare questa storia e si vede, vista l'impossibilità di provare empatia per un qualsivoglia personaggio tagliati tutti con l'accetta e con la bocca riempite dalle solite trite e ritrite facezie che abbiamo già sentito in mille altri film.

Questo copione male assortito si fa sentire soprattutto durante il processo in cui è l'implausibilità a dominare e come se non bastasse non si riesce a mantenere una visione esterna dell'insieme prendendo (astutamente?) per veritiera la parte paranormale, ritraendo Emily come una martire straziata da delle forze diaboliche e mostrando poi sbrigativamente la possibilità della malattia mentale in modo approssimativo e assecondante. In più, non viene approfondito il carattere suo e degli altri personaggi che subito dopo lo scorrimento dei titoli di coda vengono dimenticati.

 

C'è da dire che porre due diverse letture della vicenda di Emily Rose, entrambe messe in scena visivamente, è un motivo più che valido per dare una possibilità al lungometraggio: il poter interpretare, a seconda dello spettatore, questa vicissitudine come una terribile possessione o uno spaventoso disturbo medico che ha fatto soffrire le pene dell'inferno (e qui è il caso di dirlo) ad una povera ragazza è un'occasione per poter sollevare un'importante tematica che da sempre divide l'uomo.

La fede può fare miracoli laddove la scienza non può fare niente? Derrickson fa pendere decisamente l'ago della bilancia sulla religione, ma ognuno è libero di discutere e notare di come questo scontro venga messo in scena con le relative spiegazioni e teorie.

 

 

Gli amanti dell'horror inoltre stiano tranquilli: se è la paura ciò che cercano il lungometraggio garantisce una buona dose di brividi grazie ad alcune scelte registiche sulla buona strada della maturazione, unite ad un ottima intepretazione di Jennifer Carpenter e ad una superba fotografia di Tom Stern.

Quasi dispiace che la ragazza abbia scelto di concentrare le sue doti per la televisione (la rivedremo per lo più in "Dexter") visto che nei minuti in cui la Carpenter fa uso di tutte le sue torsioni fisiche, dimostrando un ottimo controllo dell'espressività facciale risulta davvero agghiacciante. Niente demoni o vomito verde, qui ci sono smorfie, urla e raccapriccianti contorcimenti in cui gli effetti speciali fanno ben poco e ci lasciano fronteggiare con un'attrice davvero dotata.

Per quanto riguarda la fotografia invece, i toni gelidi e bluastri sono perfetti per inquietare maggiormente il pubblico ricordando "Mystic River" per alcune peculiarità (non a caso è lo stesso direttore della fotografia), e conferisce un alone di mistero al tutto; vengono affibbiati agli interni e le oggettistiche colori accesi, quasi saturi mentre gli esterni nebbiosi e spenti sembrano quasi venire da un altro mondo.

 

Derrickson vorrebbe proporci l'incertezza tra soprannaturale e scienza: tecnicamente ci riesce con un film diviso a metà da un buon montaggio, peccato che in fatto di scrittura penda decisamente per la prima così da sbizzarrire la sua vena orrorifica ma lasciando così l'amaro in bocca per la superficialità con cui viene trattata la questione e il copione che non si può davvero sentire. Per chi è alla ricerca di un horror leggermente diverso dalle sbiadite case infestate e dagli innumerevoli remake sicuramente non rimarrà deluso grazie a buoni elementi e ad una tematica molto interessante anche se non propone nulla di innovativo; per chi invece è interessato all'aspetto legal thriller meglio starne alla larga e passare direttamente al ben più riuscito "Requiem" di Hans-Christian Schmid.

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