Regia di Scott Derrickson vedi scheda film
Nel santuario laico della ragione che si fa carne nel dictum di un giudice terzo ed imparziale lo scetticismo razionale (Gangs87) e la coscienza critica vengono insidiati da quella irrazionale, prerogativa di invasati (ferventi cattolici di campagna) e disperati (avvocati senza più assi nella manica). Ma il seme del dubbio, gettato dapprima maldestramente e poi, ad un certo punto, con grande decisione (l’acme è rappresentato dall’esatta descrizione del sacro rituale) non alligna a tal punto da squarciare il velo di boriosa presunzione di cui la tesi avversa non fa mistero di circondarsi. Sospeso nel limbo del “possibile” rimane, quindi, un sospetto inquietante che, al momento, nessuna certezza pare essere nelle condizioni di dileguare.
Tempio dell’oralità e della pubblicità (l’aula di tribunale) vs. segreta e ignominiosa intimità con il Male.
Casa della ragione vs. dimora bestiale (la celeberrima stalla ove si consuma l’agnizione plurima) del sonno (che si fa incubo) della ragione medesima.
Religiosità formale, d’etichetta (avv. Thomas/C.Scott) vs. sensibilità sostanziale per il mistero del sovrannaturale e della fede (avv. Bruner/L.Linney).
Scienza (medica) vs. fede (cattolica).
Lumi e raziocinio vs. superstizione retriva.
Patologia della mente vs. patologia dell’anima.
(Ma anche) Barlumi di luce (equamente divisi fra le due parti in causa) vs. zampate d’oscurità.
I soliti contrasti chiaroscurali non facili da bilanciare… ma non in questo caso.
The exorcism of Emily Rose è davvero un buon “legal horror” (degoffro). Propone (innovativamente) una rivisitazione di un classico del genere horror entro i ferrei paradigmi del thriller giudiziario. Anzi, ben rari sconfinamenti nel sovrannaturale più fantasioso e disturbante consentono alla storia di prevalere sulla paura, la quale resta un contorno importante, ma non estremizzato (Gangs87); il che - ad uno come il sottoscritto (che digerisce l’horror a piccole dosi mentre, del consumo di legal, ha pochi rivali) - non può che procurare molte soddisfazioni.
Tanto più che S.Derrickson, a dispetto di quanto ritenuto da molti, non dà risposte in merito alla vexata quaestio del dedalo di bivii suindicati, neanche mediante il “pilatesco” finale.
Allo spettatore l’ardua sentenza (meno ardua quando si tratta di giudicare la prova della Carpenter, una posseduta davvero convincente).
E per la serie “non si faccia torto alle migliori opinioni espresse in un passato non troppo lontano” non si dimentichino almeno quelle di giurista81 e scapigliato
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