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The Exorcism of Emily Rose

Regia di Scott Derrickson vedi scheda film

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La recensione su The Exorcism of Emily Rose

di degoffro
6 stelle

"Le tre del mattino, quando agisce il maligno. Per il demonio è un modo di prendersi gioco della Trinità. Sono l'opposto delle tre del pomeriggio, l'ora del miracolo, che nella tradizione è ritenuta l'ora della morte di Cristo".
Ispirato a fatti realmente accaduti in Germania negli anni settanta, a loro volta alla base di un film tedesco "Requiem" di Hans-Christian Schmid, distribuito in Italia dalla Lucky Red nel 2006 (e l'impietoso confronto tra i due film è tutto a favore della rigorosa ed intensa opera di Schmid). Si tratta, tra l'altro, dell'unico caso di esorcismo riconosciuto dalla Chiesa cattolica negli ultimi secoli. Con "The exorcism of Emily Rose" si inaugura un nuovo genere cinematografico: il legal-horror. Il tradizionale dramma giudiziario ambientato in un'aula di tribunale con le consuete e ripetute "obiezione vostro onore" questa volta si alterna alle violente sequenze di possessione demoniaca della protagonista. Al di là di questa curiosa peculiarità, però, il film di Scott Derrickson, anche sceneggiatore con il fidato Paul Harris Boardman, non ha molto altro per cui segnalarsi. Il regista, che ha al suo attivo un altro horror non certo memorabile (il quinto episodio della serie Hellraiser, ma ha scritto anche l'inutile "Urban legend - Final cut" oltre che la bella sceneggiatura de "La terra dell'abbondanza" di Wim Wenders) confeziona un prodotto dignitoso, elegante e ben fatto ma del tutto convenzionale e risaputo, nei contenuti come nella forma. Si sommano così gli stereotipi di due generi cinematografici, senza particolare fantasia né intuizioni originali. Certo la cruda e realistica sequenza dell'esorcismo di Emily Rose è funzionale e terrificante al punto giusto (soprattutto inquietante è il momento in cui i sei spiriti maligni che vivono nel corpo della ragazza rivelano la loro identità), ma niente che non sia già stato visto. Il riferimento obbligato va al classico di William Friedkin: dopo quel titolo pare davvero difficile rinnovarsi sul tema ed il rischio, come avviene puntualmente con questo film di Derrickson, è riproporre stancamente abusati cliché. E così vai con il consueto campionario di porte che sbattono, corridoi lunghi e bui, voci sinistre nella notte, sussurri spettrali, lamenti soprannaturali, respiri pesanti, bicchieri che cadono e si frantumano, crocifissi che si capovolgono, ombre nere che si aggirano inquiete, volti che si deformano, l'orologio che si ferma ad un'ora specifica. Se i riferimenti dichiarati del regista sono il primo cinema di Dario Argento e addirittura la "Divina Commedia" di Dante Alighieri stiamo freschi. A sua volta anche l'eterno e un pò monotono conflitto scienza/fede, ragione/religione, tipico di produzioni del genere ed affidato in questo caso alla coppia di avvocati antagonisti (l'uno convinto praticante ma determinato, quasi accanito, nell'ottenere la condanna di un sacerdote, ai suoi occhi proprio perché religioso ancor più colpevole, dimentico dunque del fatto che "la sua fede prevede la misericordia ed il perdono", l'altra agnostica ma aperta al dubbio ed al mistero, pronta a sostenere la tesi della possessione non sulla base di motivazioni spirituali, ma umane), non ravviva più di tanto la narrazione. Certe soluzioni poi non convincono in pieno, vedi ad esempio la pacchiana conclusione del processo in cui la giuria dichiara dapprima colpevole il sacerdote, poi però ne chiede la liberazione, perchè ha già scontato la sua pena in carcere (puzza tanto di americanata), così come l'"incontro" tra Emily e la vergine Maria in cui la ragazza accetta il suo destino terreno di sofferenza, per mandare un forte messaggio ad un'umanità deviata e sempre più lontana dalla fede (per Padre Moore la ragazza è destinata alla santità) è stucchevole e decisamente enfatico. A ciò si aggiunga che certi personaggi sfiorano la macchietta (l'antropologa chiamata come esperta dall'avvocato della difesa), altri, a conti fatti, sono superflui (il medico che ha assistito all'esorcismo e che dovrebbe costituire il testimone chiave per la difesa). Infine i momenti di paura sono fin troppo telefonati e prevedibili, così che, parafrasando un'affermazione di Padre Moore, pur guardando dentro le tenebre, non riesci mai a portarle dentro di te ed il film ti lascia del tutto indifferente. Non ci si annoia per il solo fatto che un tema del genere ha sempre una sua intrinseca presa, ma lo spettacolo è ben lungi dal conquistare in modo convinto. L'ispirarsi ad eventi reali non è sempre sufficiente per dare autentica attendibilità ad un film: qui la netta impressione è che molte, gratuite, manipolazioni spettacolari siano state aggiunte ad hoc rispetto alla vicenda originaria, che perde così di forza ed intensità, sprofondando inevitabilmente nel territorio, pericoloso ed artefatto, di una fiction di stampo televisivo. Di rilievo resta così la bella ed intensa prova di Laura Linney, non nuova al ruolo dell'avvocato ("Schegge di paura" e "Potere assoluto") ed ancora alle prese con un fenomeno poco terreno dopo "The Mothman Prophecies" di Mark Pellington. Bravo ed efficace anche l'inglese Tom Wilkinson. Jennifer Carpenter si dimena, spasima e grida a più non posso ma ha la sfortuna di arrivare troppo tardi per aggiornare un immaginario cinematografico che ha già i suoi inarrivabili punti di riferimento. Insopportabile invece, e non solo per il suo personaggio, Campbell Scott, figlio del grande George C. Scott, a sua volta, tra l'altro, protagonista di un caposaldo del cinema giudiziario "Anatomia di un omicidio" in cui ricopriva proprio il ruolo dell'avvocato dell'accusa contrapposto a James Stewart. Ottima la fotografia di Tom Stern (da "Debito di sangue" collaboratore di tutti gli ultimi film di Clint Eastwood), e le scenografie di David Brisbin ispirate ai quadri di Francis Bacon. Di routine invece le musiche dell'esperto Christopher Young. Per la cronaca, le didascalie finali informano che dopo il processo, Padre Moore si ritirò in solitudine e rifiutò di appellarsi contro la sentenza, perché a suo dire "questa è materia di Dio. Nessun tribunale umano può giudicarla." Miglior Horror dell'anno 2006 per l'Academy of Science Fiction Fantasy & Horror Films Usa (sbaragliata la concorrenza di titoli come "Land of the dead" di Romero, "Constantine" con Keanu Reeves, "Wolf Creek", "Saw II" e "The Skeleton Key"); la stessa Academy ha candidato anche le due attrici Laura Linney come migliore protagonista (battuta da Naomi Watts per "King Kong") e Jennifer Carpenter come migliore non protagonista (battuta da Summer Glau per "Serenity"). Per la Carpenter vittoria di un MTV Awards per la miglior performance di paura. Presentato fuori Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia del 2005. Straordinario successo di pubblico sia negli States (75 milioni di dollari complessivi, di cui 30 nel primo week end, a fronte di un budget stimato di circa 20 milioni) che in Italia dove al primo week end è balzato subito in vetta al box office con quasi 2 milioni di Euro (incasso totale pari a circa 5 milioni di Euro).
Voto: 6

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