Regia di René Clément vedi scheda film
Una donna volenterosa e determinata mette su una lavanderia in proprio, ma suo marito e il suo ex-amante sono due tipi balordi, che costituiscono una continua minaccia alla sua impresa.
Ci sono pochi film che comunicano un autentico senso di disperazione, e credo che questa riduzione di un romanzo di Emile Zola (Lo Scannatoio) sia uno di questi.
E' una pellicola ben diretta e recitata, che per circa tre quarti è così movimentata che mi viene da definirla “nervosa”. Poi il ritmo rallenta leggermente, forse proprio per lasciare posto al dramma.
Al centro della vicenda vediamo la “Gervaise” del titolo (Maria Schell), una giovane donna combattiva e determinata, oltre che ottimista, la quale però ha il difetto di scegliersi gli uomini sbagliati. Credo non sia casuale la somiglianza anche fisica tra i due (al punto che all'inizio io li ho confusi), perché forse sta a significare la loro sostanziale somiglianza di carattere. Uno è un ubriacone (il marito), l'altro (l'ex-amante) un donnaiolo, ma hanno in comune l'inaffidabilità, l'egoismo, e il criterio di fare quello di cui hanno voglia, senza pensare a nulla e nessuno. E poi entrambi sono spendaccioni e fannulloni. Più asseconda le loro intemperanze, e più quelli si approfittano di lei. Conosce un uomo bravo, questo sì, il quale pure la ama sinceramente, ma non sa approfittarne al momento giusto. Così paziente com'è con quei due mascalzoni, pare che poi sfoghi la rabbia repressa verso una donna del rione: quella è certamente maligna e invidiosa, ma il modo in cui la protagonista la odia appare comunque eccessivo, come se ne facesse un capro espiatorio per tutte le sue sventure. Ma la sventura la colpirà ugualmente in modo crudele, infierendo su di lei in un finale cupo, che prende a pugni lo spettatore in modo secondo me eccessivo.
Rene Clement, di cui amo il lirico e malinconico “Delitto in pieno sole”, gira qui una pellicola ineccepibile dal punto di vista formale, ma forse un tantino fredda e plastica, e non molto sentita. E il finale nero, oltre che sigillare la rovina della protagonista, in qualche modo condanna la sua stessa combattività e volontà di riscatto. Io ci avrei visto volentieri un qualsiasi senso, anche solo di ammonimento o di auspicio, a prescindere dall'esito stesso della vicenda. Se Zola, autore del romanzo, condannava le disuguaglianze sociali, sembrava pure non vedere nessuna soluzione a questo problema.
Bravi tutti gli attori: i due uomini, ma soprattutto Maria Schell, che spesso sorride (!?) ma è in generale molto espressiva.
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