Regia di René Clément vedi scheda film
Un tentativo di affresco sociale che risulta straordinario solo a livello plastico, ma in forte deficit di calore interiore. In effetti il film è soprattutto il ritratto di una donna, alla quale Maria Schell, premiata a Venezia con la coppo Volpi, pur nella particolare prospettiva voluta dal regista, offre una intensa e sofferta corposità.
Con “Gervaise”, René Clément ha messo in scena con puntigliosa aderenza, un capolavoro assoluto del naturalismo (“L’assommoir”), ma nel farlo forse non ha abbastanza riflettuto sul fatto che ciò che rende ai giorni nostri “difficile” l’elaborazione sociologica della scrittura zoliana e la sua… vogliamo definirla “digeribilità? è proprio quel cupo determinismo che in fin dei conti risulta adesso più spietato e inesorabile di quella teoria religiosa che trae origine dal “peccato originale” e che porta l’inevitabile conseguenza dell’espiazione, sempre e comunque, un assioma questo contro il quale erano insorti proprio i positivisti e che adesso rimane ancor più sconcertante e inaccettabile se non si riesce a far emergere la rabbia dell’emarginazione classista e il sotterraneo spirito di ribellione per una possibile, anche se incerta, futura rivalsa. La riduzione cinematografica di Clément è poi fortemente accademica (e l’accademismo, come si sa, “spenge” il fuoco): se da una parte evita quasi tutti i trabocchetti del melodramma, rimane dall’altra troppo attaccata a una visione persino un po’ crepuscolare (a tratti contraddittoria) nel riprodurre la temperatura e il clima, certamente aderente, ma “calligraficamente” esteriorizzato, e per questo più affine alle riproduzioni “artisticamente pregnanti” di molte stampe d’epoca che non allo squallore disumano della realtà di quei giorni. Indubbiamente le sue immagini risultano ancor oggi così affascinanti e impattanti da rimanere profondamente impresse nella memoria (nonostante tutto) nel delineare il “disegno” di questa “tranche de vie” operaia negli ultimi anni del secondo impero (ma – ripeto – con un tratto più edulcorato e meno doloroso, insufficiente per rendere completa giustizia a ciò che era l’effettiva qualità della vita, e assumere di conseguenza i toni della denuncia). Il rigore stilistico è apprezzabile, ma insufficiente per “creare” (o semplicemente sfiorare) il capolavoro. Clément si conferma in effetti un ottimo “mestierante” , ma a mio avviso qui troppo “amorfo” e “ripulito” (quasi inerte) per onorare totalmente la tragica, “scottante” attualità storiografica della materia trattata e riuscire a mantenere la profondità lancinante del racconto d’origine. In sintesi quindi, un tentativo di affresco sociale che risulta straordinario solo a livello plastico, ma purtroppo in forte deficit di calore interiore. In effetti il film è soprattutto il ritratto di una donna, alla quale Maria Schell, premiata a Venezia con la coppo Volpi, pur nella particolare prospettiva voluta dal regista, offre una intensa e sofferta “corposità” (forse l’unica vera prova maiuscola di una attrice sopravvalutata e velocemente “appannatasi” nello stereotipo, nonostante la notorietà internazionale – breve ma intensa – che seguì questo exploit). La Parigi della tristissima condizione operaia di fine ottocento, agli albori della rivoluzione industriale, rimane così solo uno sfondo necessario, ma a tratti un po’ sfocato. Il regista insomma sembra principalmente attratto (interessato) dalla “dolente” figura della protagonista (alla quale dedica tutte le sue prioritarie attenzioni), una lavandaia ingenua e zoppa che diventerà, con la sua storia drammatica di soprusi e di cadute, il fulcro centrale della pellicola, un’odissea dalle alterne sorti, ma dallo scontato epilogo. La prima parte (più autonoma rispetto a Zola) è decisamente la migliore; meno felice invece la seconda, che tende progressivamente ad affondare il risultato in una tetraggine complessivamente cupa ed opprimente. Intorno alla Schell, agisce un variegato nucleo di personaggi e figurine (di differente portata e importanza) alle quali forniscono il loro personale contributo di consumati interpreti, i prestigiosi nomi di François Perire, Armand Mistral, Suzy Delair e Jany Holt fra gli altri.
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