Regia di Cameron Crowe vedi scheda film
La tristezza è più facile perché è una resa
Quando sono giù, mi piace guardare i film di Cameron Crowe, perché mi aiutano a riprendermi con il loro ottimismo romantico. I soggetti del regista americano sono sempre dei percorsi con molti ostacoli, dove l'happy end anche se scontato arriva dopo una sequenza di tribolazioni simboliche e rivelatrici. E così, chi non vorrebbe incontrare Claire/Kirsten Dunst e innamorarsi di lei, per ricominciare, per crederci ancora, confermando la centralità dei ruoli femminili (spesso biondi) nell'immaginario croweiano. Poi che bello: il primo bacio arriva dopo 1h20m di affinità sentimentali fra i due personaggi, creando un'aspettativa nello spettatore meravigliosa, un senso di attesa tipico e sublime che caratterizza ogni innamoramento (la telefonata infinita con relativo incontro finale è un piccolo capolavoro). La centralità della vita 'calda' in provincia opposta all'alienante e 'fredda' realtà metropolitana, sono espresse in modo simpatico, costituendo sì un discorso esistenziale un po' all'acqua di rose, ma di sicura presa emotiva. Il fallimento nella società americana è visto in modo più 'dinamico' che nella nostra, ma rimane pur sempre uno shock, così l'inizio del film è esemplare come parte da una fine per impostare una rivincita interiore emozionante. E poi, come sempre, bella musica inserita ad arte nel montaggio delle immagini, mi piace ricordare Free Bird in un live 'incendiario' liberatorio e clamorosamente 'rock and roll'. Simile a Jerry Maguire, ma più leggero e sentito, Elizabeth Town rimane uno dei titoli di Crowe che preferisco, sognante, romantico, creativo nel gestire una love story anomala e simpaticamente complice nel cogliere la libertà espressiva degli interpreti (il monologo della Sarandon ad esempio).
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