Regia di Cameron Crowe vedi scheda film
Cameron Crowe è un ottimo regista, un esperto giornalista musicale e un notevole critico cinematografico (il suo libro su Billy Wilder è magnifico), Elizabethtown è una sintesi felice, commovente, divertente, riflessiva delle passioni del cineasta. È un film sulla saggezza del fallimento personale: il protagonista Drew ha disegnato un paio di scarpe che nessuno comprerà e ha causato una perdita di milioni di dollari alla sua società e viene licenziato. Sull’America della provincia sana e non sfondo da horror. Sul lutto creativo (la commemorazione di amici e parenti, il tip tap da antologia della Sarandon vedova del defunto e madre del protagonista, abito blu o cremazione). Su una rinascita on the road (in compagnia dell’urna con le ceneri del padre) nei luoghi in cui un Paese ha costruito la sua Storia e in cui si riconosce. Sull’amore che nasce a bordo di un aereo grazie ad un hostess, Claire, che non ha bisogno di comprare una macchinetta fotografica per scattare le immagini che vale la pena conservare. Sulla musica che ci suona dentro. Sul tempo della visione (il regista ha tagliato molti minuti rispetto alla versione presentata all’ultima Mostra di Venezia stringendo snodi che entrando nel ritmo della pellicola non pesavano) e sulla storia del cinema (gli umori acidi e sapidi del migliore Wilder permeano personaggi e tralicci). Sugli attori (Bloom, Dunst e gli altri sono perfetti). È un film su Hollywood e sulla speranza che si possa guardare oltre il giardino dei blockbuster, delle sceneggiature smottate e immunodeficienti.
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