Regia di Tim Burton, Mike Johnson vedi scheda film
Nozze mortali
Questa ennesima incursione di Burton nel mondo dell’animazione uscì lo stesso anno de “La fabbrica di cioccolato” (2005), film invece con attori in carne ed ossa che, a parere di chi scrive, gli era però chiaramente inferiore; da qui in poi, per i detrattori del regista americano, la sua parabola artistica si farà un po’ asfittica e ripetitiva ma, per fortuna, all’epoca il suo estro era ancora vitale e la (ri)visione di questo lavoro apparentemente datato è stata un vero piacere.
La “classica” tecnica usata (Stop Motion) venne qui per la prima volta galvanizzata da accorgimenti digitali che donarono più fluidità alle immagini (esaltate dall'innegabile talento visivo di Burton) e “corpo” alle emozioni dei vari personaggi: amplificando le caratterizzazioni dei “viventi”, in particolare, quasi tutti contraddistinti da tratti somatici estremizzati e bizzarri, contenitori imponenti di grettezze e ipocrisie, sorretti però da gambette d’airone sottili quanto la caducità dei loro disegni. I “morti” invece, insieme all’affilato trio di protagonisti, sono al contrario leggiadri e dinoccolati, sconclusionati e felicemente rappresentati per dar “vita” ad un circolo dantesco divertente e bislacco.
La fiaba raccontata, di antica ispirazione, risulta quindi perfettamente affine alle seppur risapute “ossessioni” care al regista statunitense che, mascherandone l’aspetto da fiaba (nel senso ottocentesco del termine) per bambini, sulla falsariga del precedente “Nightmare before Christmas”, la infarcisce di un citazionismo sia personale (richiami ai suoi primi lavori) che a grandi capolavori del cinema (fulminante il “francamente me ne infischio” pronunciato da uno scheletro con baffetti sulle note del “Tara’s Theme”), coinvolgendo nel gioco anche lo spettatore adulto. E divertendo a più riprese (la ritmata ballata degli scheletri, il carnevalesco oltretomba), anche a denti stretti come il ghigno feroce dei monumentali Finis Everglot e gentile signora.
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