Regia di Roberto Rossellini vedi scheda film
Nel 2007 sono trascorsi trent’anni dalla morte di Roberto Rossellini, grande maestro del cinema italiano, mentre nel 2006 ricorrevano i cento anni dalla nascita. Durante tutti quei festeggiamenti è venuta fuori una definizione nuova e appropriata per descrivere il cinema e il percorso professionale del regista di ROMA CITTA’APERTA, quella di utopista. Negli anni ’40 è stato con Visconti e De Sica l’esponente di spicco del celeberrimo Neorealismo, raccontando la guerra durante e dopo, l’occupazione nazista a Roma nel già citato titolo con A.Magnani e A.Fabrizi, la Berlino disastrata del dopoguerra di GERMANIA ANNO ZERO e nei sei episodi in giro per l’Italia di PAISA’. L’utopia della pace e di un mondo senza conflitti sintetizzato dall’epilogo post-neorealista di FRANCESCO GIULLARE DI DIO, poi una serie di ritratti femminili con Ingrid Bergman splendida musa ispiratrice, per rappresentare la donna non come oggetto sessuale, ma come figura moderna e indipendente, dagli anni ’60 il passaggio alla RAI per raccontare con un linguaggio semplice, diretto e didattico le discipline che governano il nostro pianeta: la politica, la storia, la filosofia, l’economia e la scienza. Portando sul piccolo schermo tante biografie di personaggi storici o l’intera storia dell’umanità nel monumentale e bellissimo LA LOTTA DELL’UOMO PER LA SUA SOPRAVVIVENZA, il suo utopistico intento era di usare la televisione come strumento divulgativo di sapere e di educazione. Oggi quel rivoluzionario progetto è in parte fallito e definitivamente sepolto dagli spot commerciali e dalla corsa sfrenata all’audience, solo pochi canali satellitari o a pagamento sembrano vicini all’ideale rosselliniano. Ritornando alla storica stagione del Neorealismo, Rossellini seppe lanciare uno sguardo anche al di là delle Alpi, analizzando con acutezza e sapienza le macerie umane e materiali del dopo Hitler a Berlino in GERMANIA ANNO ZERO. Il tredicenne Edmund vaga nella capitale tedesca distrutta dai bombardamenti alla ricerca di cibo e di beni di prima necessità per mantenere la famiglia composta dal padre invalido, un fratello costretto a nascondersi perché ricercato e una sorella che si prostituisce. Istigato da un ambiguo insegnante disoccupato uccide il padre con un veleno, ma non risolve i problemi familiari, solo e disperato si butta da un palazzo in rovina. Questo capolavoro è la summa, il paradigma dello stile del regista romano, asciutto ed essenziale, senza ombra di enfasi e di retorica, il tragitto iniziale del giovanissimo protagonista è irto di simboli mortuari, in totale assenza di speranza. La guerra e le sue inevitabili conseguenze negative sono leggibili negli occhi dei protagonisti (quasi tutti attori non professionisti), nella triste e ripetitiva quotidianità, nel vagabondare e negli incontri casuali di Edmund. Tutto è perfettamente intonato alla drammaticità della regia e della sceneggiatura scritta con Carlo Lizzani e Max Colpet, le musiche del fratello Renzo e il bianco e nero di Robert Julliard. Anche il cinema all’epoca era allo sbando e in fase di ricostruzione e i film neorealisti erano in parte autoprodotti dai suoi autori e in parte finanziati da improvvisati produttori italiani ed europei.
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