Di solito con la frase “anno zero” si indica l’inizio di un’era. Nel titolo del film di Rossellini, la locuzione è indicata come inizio di una nuova era, quella del dopoguerra della Germania, ma può e deve essere vista in un senso più ampio.
In genere quando dopo una catastrofe le cose precipitano si dice che a volte per risollevarsi bisogna toccare il fondo, sempre che però non si finisca per rimanere invischiati nel fango da dove non è sempre facile risalire.
La svolta, la possibiltà di risalire dal fondo magistralmente riportato da Rossellini del degrado della Germania distrutta nell’immediato dopoguerra, sembra cogliersi verso la fine del film quando la scena si ferma per qualche istante al suono dell’organo suonato in una chiesa diroccata: ma il protagonista, il giovane Edmund (interpretato dall’undicenne Edmund Meschke) è ormai condannato dalla storia ed il passaggio ad una nuova era sembra possibile solo con la sua morte.
Rossellini sembra volere mostrare proprio il fango di questo fondo alla fine di un’epoca e questo “anno zero” appare indicare contestualmente all’inizio anche la tragica fine di un’era. In questo contesto può essere visto questo capolavoro neorealistico di Rossellini che completa da ultimo la trilogia iniziata con “Roma città aperta” seguita da “Paisà”.
Un vero capolavoro da vedere e rivedere, anche se il doppiaggio in italiano del film girato in lingua tedesca non è sempre accurato, ma non importa e nulla toglie al valore del film.
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