Regia di Roberto Rossellini vedi scheda film
«Quando le ideologie si discostano dalle leggi eterne della morale e della pietà cristiana, che sono alla base della vita degli uomini, finiscono per diventare criminale follia. Persino la prudenza dell'infanzia ne viene contaminata e trascinata da un orrendo delitto ad un altro non meno grave, nel quale, con la ingenuità propria dell'innocenza, crede di trovare una liberazione dalla colpa.»(Introduzione a Germania Anno Zero).
Da principio fu la “città Eterna”, cuore pulsante di una nuova strada per un nuovo cinema. Successivamente la visione abbracciò l’Italia intera, andando da sud verso nord. Infine lo sguardo si liberò degli angusti limiti fisici nazionali, a favore di una prospettiva necessariamente internazionale, tramite Germania Anno Zero (1948), opera conclusiva della trilogia della guerra.
Roberto Rossellini, dopo il successo internazionale di Paisà (1946), era a livello internazionale, un regista sulla cresta dell’onda, quanto devastato nel privato per la morte del piccolo Renzo Rossellini.
L’evento luttuoso fu fondamentale per la scelta da parte del cineasta, nel dirigere un’opera avente come personaggio principale un bambino, ambientata tra le rovine di una Berlino devastata dal conflitto bellico appena terminato.
Il regista si avvalse di un cast di attori non professionisti o sconosciuti locali, optando come protagonista nel ruolo di Edmund, l’undicenne Edmund Moeschke, un’acrobata che si esibiva al circo con la sua famiglia.
Fame nera, devastazione, stanchezza e miseria, sono gli attributi caratterizzanti la Berlino fatiscente del 1947, sottoposta ad occupazione degli eserciti vincitori (americani, francesi, tedeschi e russi). Ognuno si arrangia come può, anche perché la tessera alimentare non basta di certo a sopravvivere, specie per la famiglia di Edmund, costretto a dover accudire il padre gravemente malato di cuore, assieme alla sorella più grande Eva. Se ciò non bastasse, c’è da mantenere pure il fratello maggiore Karl-Heinz, ex-soldato dell’esercito nazista, che si nasconde in casa, temendo di essere internato dagli alleati se uscisse a costituirsi e quindi, non lavorando ed essendo privo di tessera alimentare, aggrava la già difficile sopravvivenza.
L’anno zero della Germania, coincide con il punto più basso della nazione, occupata dagli eserciti stranieri e spartita tra i vincitori nel controllo.
Il film non vuole essere un atto d’accusa contro il popolo tedesco, stando alla voce narrante, ma lo sguardo di Rossellini nei confronti di un paese che fino a pochi anni prima era alleato degli italiani e poi nemico dopo l’8 Settembre 1943, gli consente un distacco della macchina da presa, nei confronti dell’oggetto narrato, tale da maturare nel regista un’analisi socio-analitica, che incarna nella vicenda di Edmund, il dramma storico di un’interna nazione.
Distaccatasi dalle tematiche della resistenza, presenti nei due lavori precedenti, il regista compie un passo ulteriore in stilizzazione dei canoni estetico-formali neorealisti, in una rarefazione esistenzialista, tramite l’impiego di lunghi piani sequenza, che esternalizzano i moti d’animo interiori di Edmund, tramite gli edifici in rovina sullo sfondo, non sono ridotti a mera testimonianza esplicativa delle rovine dell’ultimo conflitto mondiale, ma diventano espressione di un malessere dell’animo.
Rossellini lancia un grandissimo atto d’accusa alla guerra e all’ideologia nazista, che tramite i “cattivi maestri”, corrompe l’innocenza dell’infanzia, sviandola dalla morale e dagli insegnamenti solidali tipici del cristianesimo, a cui Edmund nella camminata finale, resta sordo, allontanandosi dal suono dell’organo proveniente da una chiesa distrutta, come se sentisse di non meritare alcun sollievo, nessuna assoluzione di colpa, per il terribile gesto nefasto compiuto.
Il nazismo viene associato alle peggiori depravazioni morali dell’essere umano; la pedofilia, il più orribile dei crimini che si possano commettere contro l’infanzia di un bambino.
La corruzione, passa per il “tocco del male” da parte di Enning, ex-maestro di Edmund, oramai privo di abilitazione all’insegnamento per il suo passato nazista, che tramite la propria mano, accarezza in modo ossessivo le braccia ed il viso del piccolo, sviandolo verso una criminale follia, inculcandogli dei precetti di Darwinismo sociale, in cui il forte per sopravvivere, deve eliminare il soggetto debole.
I personaggi di Germania Anno Zero, vivono ancorati ad un passato, dal quale non riescono a fare i conti, barcamenandosi in un presente difficoltoso, sopravvivendo tra stenti ed illegalità, che nega ogni sguardo al futuro, il cui orizzonte rimane del tutto precluso.
Tra le rovine materiali, si aggira ancora sinistramente la voce sinistra di Adolf Hitler, che riecheggia nel vuoto morale, di un popolo che neppure innanzi alla distruzione apocalittica della Germania post-bellica, riesce ad andare oltre i propri miseri egoismi personali, a favore di una solidarietà spontanea. Edmund non viene compreso dalla sua famiglia, al cui sostentamento vorrebbe contribuire in ogni modo, vigliaccamente ripudiato dal maestro dopo averne applicato gli insegnamenti, quanto infine cacciato via dagli altri coetanei, nel momento del bisogno.
Solo con sé stesso, Edmond vaga continuamente per le rovine di Berlino. Sospeso in un limbo eterno, il protagonista si vede negato ogni ritorno alla “normalità”, così come il diritto al “gioco”, proprio dell’infanzia, obbligata qui, a fare i conti con una quotidianità infernale ed un peso di azioni e responsabilità, di molto superiori rispetto a quelle umanamente sopportabili da un dodicenne.
Un’opera scarna, anti-spettacolare e che nel suo sviluppo, anticipa la futura deriva esistenziale e psicologista, del cinema rosselliniano, largamente seguita dalle future avanguardie europee. Poco apprezzata all’epoca della sua uscita nel nostro paese, ottenne un successo critico parziale negli USA e soprattutto in Francia.
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