Regia di Fernando Meirelles vedi scheda film
L'attivista per i diritti umani Tessa Quayle viene misteriosamente uccisa in Kenya e l'inconsolabile marito Justin decide d'indagare sulla morte della consorte, che, al di là delle apparenze che sembrerebbero parlare di omicidio passionale, potrebbe essere strettamente collegata agli enormi interessi economici mossi dalle sperimentazioni di una multinazionale del farmaco. Tratto da un romanzo di John Le Carré, "The Constant Gardener" è un pretenzioso e, in generale, sopravvalutato feuilleton spionistico-romantico-avventuroso che mette in scena un patinatissimo ed ipocrita terzomondismo di facciata per palati radical chic che, in realtà, nasconde un approccio che non riesco a non definire come neo-colonialista: la storia, infatti, si svolge quasi completamente in Africa (al solito ripresa con lo stile cartolinesco, moderno, ipersaturo e un po' sgranato, che fa un po' MTV e un po' National Geographic), che diventa un teatrino di scontro di bianchi "buoni" e "cattivi", con i neri che vengono difesi o sfruttati, ma che non sono mai consapevoli delle loro scelte o in grado di autodeterminarsi, come a dire che gl'indigeni non possono fare a meno degli occidentali per tutelare i loro interessi. Aggiungiamoci anche che il tema "di denuncia" del film non è particolarmente "potente" o originale: l'Africa e le sue genti sono, deplorevolmente, da secoli terreno prediletto di sfruttamento da parte dell'Occidente (cosiddetto) progredito e la "cospirazione" del titolo fa amaramente l'effetto della proverbiale scoperta dell'acqua calda. La sceneggiatura (di Jeffrey Caine) è lentissima, prevedibile e quasi mai emozionante, la struttura a flashback, a lungo andare, tende a far diventare il film frammentario e tedioso, la soluzione dell'enigma (si fa per dire) fin troppo moscia ed improbabile. Il risultato è una pellicola visivamente molto elegante e ben interpretata da un cast di livello (bravi i protagonisti: un dimesso e sofferto Ralph Fiennes e una splendida Rachel Weisz), ma troppo lenta, scontata, fasulla e fastidiosamente patinata. Regia del brasiliano Fernando Meirelles, che in questo modo monetizza abilmente con una produzione internazionale il successo del suo precedente "City of God". Voto mediocre.
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