Regia di John Madden vedi scheda film
Gli echi si odono tutti. Parellilismi molteplici potrebbero essere allestiti per estrapolare il punto di contatto tra il recente "A beautiful mind" insignito dell'oscar come miglior film (correva l'anno 2001) e questo "Proof - La prova" che a detta di molti su questo sito sarebbe persino indegno di entrare nella regolare programmazione in sala. Che diamine!Ora, detesto i controcorentisti dell'ultima ora ed ancor di più i controcorrentisti a tutto tondo, proviamo dunque ad analizzare passo per passo questo "filmetto innocuo" magari relazionandolo alla già citata pellicola di Ron Howard. Dunque, già di per sè il fatto che la vicenda si modelli sulle coordinate di un testo teatrale permette di evitare ogni sorta di divagazione gratuita, digressioni e allungamenti degli episodi che alla fine risulterebbero maledettamente retorici ed ininfluenti e allo svolgimento del dramma e allo scavo interiore dei personaggi. Si ricava dal testo un'intimità che l'autobiografismo del precedente esempio corrode inevitabilmente, mentre si sprofonda in un contesto i cui mille appigli al cosidetto patetico vengono diligentemente schivati. Il confine spazio-temporale tra passato e presente è labile, merito di una narrazione distorta, che in un certo senso si ritorce su se stessa per allineare le due figure principali sovrapponendone le rispettive esperienze di vita. Ma se in "A beuatiful mind" la suspense emergeva dalla non sicurezza della veridicità delle figure che si stagliavano sul panoramana narrativo, qui il passaggio è molto più sofferto, molto meno commovente sì, ma a mio avviso molto più sofferto. Qui si aderisce alla pazzia per diventare una nuova pars construens, per diventare la prova vivente che esistono al mondo esseri geniali. Figure emblematiche, rivoluzionarie, per certi versi sovversive come può esserlo la scoperta di una nuova linea di condotta alla risoluzione di un problema matematico (come in questo caso) o come può essere stata la sperimentazione modernista della scrittura, il suo tentativo di fondere insieme le convenzioni letterarie e farle esploderle per sovvertirne il corso e l'effetto finale. Di certo non fanno parte della categoria coloro che scimmiottano James Ellroy e i suoi dialoghi da sottoscala con annessa bisca clandestina, fiumi di alcool e ancheggianti donnine che si strusciano agli avventori del tavolo da poker magari sussurando nell'orecchio del vicino di posto il punto che il dirimpettaio ha in mano. La cretività è una dote, ma è lungi dall'essere geniale. Inverti l'ordine degli addendi e fai cambiare il risultato, allora sì che potrai veramente chiamarti genio.
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