Regia di Ang Lee vedi scheda film
Lì, sulle montagne di Brokeback, è accaduto qualcosa. Di destabilizzante, come sa destabilizzare solo un amore puro, semplice, crudele. Impossibile perché è impossibile vivere in una società così brutalmente malata. Scomodando Shakespeare, si potrebbe citare uno splendido sonetto. Posso paragonarti ad un giorno d’estate? Ma sì che puoi, è stata proprio la bella stagione a farci incontrare. Tu sei più amabile e più tranquillo. Ennis forse non è né amabile, né tantomeno tranquillo. Più che altro è uno di quei venti rudi che scuotono i teneri germogli di maggio. Talvolta il troppo caldo splende l’occhio del cielo, e spesso la sua carnagione dorata si oscura – e oscuro Ennis lo è, sempre, al contrario di Jack, più (pre)disposto ad un dialogo affettivo. D’ogni cosa bella la bellezza talora declina, specie se avvolge la natura nella sua sorprendente epifania, spogliata per caso o per il mutevole corso di essa. La tua eterna estate non dovrà svanire, Ennis; non dovrai perdere la bellezza che possiedi, Jak, né dovrà la morte farsi vanto che tu vaghi nella sua ombra… Quando in eterni versi al tempo tu crescerai, finché gli uomini respireranno o gli occhi potranno vedere, queste parole vivranno, e ti daranno vita. Anche se ne sarai privato, dall’ineludibile corso degli eventi di una esistenza che non ci ha voluto bene.
Già Virgilio aveva messo in ballo la questione di un amore così proibito, e questa storia sembra propria una di quelle ecloghe di strenua bellezza – ma non ci sono dei di mezzo, né tantomeno elegiache figure di un immaginifico religioso. Qui si respira la disperata tensione di un Ovidio che sentenzia: né con te né senza di te; o di un Catullo, che dimentica per un attimo di cogliere l’attimo (o ne segue fedelmente il principio?), e si tormenta urlando ferito: odi et amo. Ogni nuovo incontro fra i due clandestini dei sentimenti negati provoca sollievo e sofferenza, un mood straziante in cui duellano convenzioni sociali ed esigenze personali, in un rodeo dove il toro rabbioso si smania per paura di manifestare la propria reale natura. Sotto un cielo cristallino, florido di gravide nuvole sempre sul punto di partecipare alla storia nell’unico modo in cui possono (piangendo), si consuma un amore triste, senza pace: corso con placida e tribolata sensibilità, ha il languore delle storie d’amore (penso al ballo tra Jake Gyllenhall e Anne Hataway, o al congresso carnale di Heath Ledger e Michelle Williams) e la lucida angoscia del mèlo (i vari incontri sessuali di Ledger e Gyllenhall, la scoperta della Williams e i suoi occhi sconvolti, la telefonata di Ledger alla vedova Hataway), attraversato dalle melodie struggenti e malinconiche di Gustavo Santoalalla. Un bacio d’addio, o di benvenuto, nella costante paura di essere smascherati, nella costante voglia di uscire allo scoperto: lo giuro, Jack. Troppo tardi.
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