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I segreti di Brokeback Mountain

Regia di Ang Lee vedi scheda film

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La recensione su I segreti di Brokeback Mountain

di BobtheHeat
7 stelle

Ennis del Mar (Heath Ledger) e Jack Twist (Jake Gyllenhaall), si incontrano la prima volta nel 1963 , quando cercano e ottengono un duro lavoro stagionale, sorvegliare un immenso gregge di pecore di un tirannico fattore, sulle montagne di Brokeback Mountain nel Wyoming. Il primo e’ di poche parole, chiuso e "selvatico", il secondo imbranato e piu’ strafottente ed espansivo.
Qui, nella solitudine delle montagne, nascera’ , improvvisa e travolgente, la loro storia d’amore.
E sempre qui, nella maestosita’ di paesaggi solitari e sconfinati, continuera’, a corrente alternata, sempre forte e struggente ma anche sempre contrastata e disperata, per piu’ di vent’anni, sebbene entrambi si siano costruiti famiglie, con prole al seguito, di(triste) facciata.
Dunque qual’e il clamore? Si tratta “solo” di una cronaca di un "vero" amore, e anche molto piu’ convenzionale di quanto possa sembrare.
“I segreti di Brokeback Mountain" sebbene ben fatto e diretto con sensibilita' da Ang Lee, abile a non dare un taglio scandalistico alla pellicola, (cosa che non fa invece il pessimo titolo italiano), a tenersi ben lontano da facili e stereotipati luoghi comuni, ad impaginare e raccordare con cura ogni sequenza (il montaggio e’ di notevole livello) e attento a non dimenticare nulla, neanche il piu piccolo dettaglio (...neanche una camicia...) , e' infatti anche un cinema, che a dispetto delle apparenze, non inventa nulla.
Chi ha detto, quasi esultando, che con questo film si e’ “finalmente” raccontato qualcosa di nuovo e distrutto l’antico mito del cowboy macho del west, e’ infatti andato un “tantino” fuori strada, perche’ tanto per cominciare qui il west non c’entra proprio un bel niente. Perche’ non siamo all’epoca western della frontiera, visto che la storia ha inizio nel 1963.

“Brokeback Mountain" e’ piuttosto un film costruito attentamente per le grandi platee e per puntare diritto agli Oscar (che probabilmente vincera', anche perche' cosi' molti membri dell'Academy , dopo che lo han fatto gia’ molti critici, potranno vantarsi di esser sempre piu' liberal, …il premio… dato “addirittura” ad un storia d’amore omosessuale, che ipocriti...) e che come tale ( e come di consueto, perche' raramente adoro i film premiati con l'Oscar) non riesce ad entusiasmarmi e a toccarmi come forse avrebbe potuto.

Ad esempio se il film avesse avuto un respiro piu’ corale, raccontato meglio e piu' da vicino l'ambiente a dir poco conformista dell'America contadina. Se il conservatore (ieri come oggi, le proiezioni del film sono state bloccate nello Utah, perche ritenute sconvenienti, che tristezza!) e violento mondo circostante, fosse stato affrontato con maggiore durezza e cattiveria.
Il film invece sfiora appena questi temi e ne fa solo intuire le problematiche.

E se all'interno della travagliata ed intensa storia d'amore (anche se e' evidente che Ang Lee si sofferma con maggiore interesse in particolare sul personaggio di Ennis, ben ripagato per altro perche' ottimamamente interpretato da Heath Ledger) che sfocia inesorabilmente in tragico melodramma, fossero stati ancora maggiori i momenti di preziosa complicita' ed intimita', non tanto e non solo fisica, tra i due protagonisti, i quali fanno sempre una gran fatica a comunicare, a mostrare la loro naturale affinita'.

Ma il regista si mantiene un po' , anche delicatamente, a distanza, dando invece gran risalto nella costruzione delle immagini (che non appartengono pero’ al Wyoming, curiosamente il film e’stato girato gran parte in Canada) al meraviglioso luogo teatro tanto della nascita quanto del proseguio della storia d'amore, sfruttandone al massimo le sue potenzialita' romantiche. Non a caso il film si intitola "Brokeback Mountain".
La stessa direzione della fotografia va in questa direzione, risultando cosi’, curata e classicamente bella, (anche questa “da Oscar” sotto questo punto di vista), ma anche priva di quella particolarita’ e personalita' che il grande operatore messicano Rodrigo Prieto aveva (meglio) messo in mostra nei suoi precedenti lavori (specie "La 25 ora" e "21Grammi", ma anche lo stesso Alexander).

Dunque un buon film accolto pero' con un entusiasmo veramente esagerato dalla critica. Anche per quanto riguarda la regia, Ang Lee e' stato, e’ vero, molto bravo a credere e a prendere parte ad un progetto che sulla carta poteva sembrare come una scommessa persa.
Ma e’ in gran parte grazie all'ottimo lavoro dello sceneggiatore Larry McMurtry, che proprio lui che viene da Taiwan, ha saputo leggere molto bene (meglio di molti registi americani) una parte della cultura americana, traducendo poi il tutto con delle immagini a tratti struggenti. Vedi ad esempio la sequenza verso il finale, in cui Ennis si reca a casa dei genitori del suo amato Jack, e il momento successivo, molto toccante, in cui ritrova quella vecchia camicia creduta persa tanti, tanti anni prima. Ma non bisogna dimenticare che tutto questo, la stessa poesia del momento prima descritto, era gia’ ben presente nel breve racconto “Gente del Wyoming" di Annie Proulx da cui il film e’ stato tratto. Insomma, che non si esageri a parlare di Ang Lee come di un “Autore”, molto piu’ corretto parlare di “Director”, specie in questo caso, ove e’ il racconto di partenza e (in misura minore) il lavoro degli sceneggiatori ad esser veramente importante.
Detto cio’, e per concludere, la regia di Cronenberg in "A history of violence" di Cronenberg, (solo per citare un film che a ben guardare ha piu' di un punto di contatto con quello di Ang Lee, ma ce ne sono altri), ha un valore indiscutibilmente superiore. Ma l’Academy ancora una volta fara’ finta di non vedere e di non sapere.

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