Regia di Ang Lee vedi scheda film
Fiume Rosso (1948), Ultima Notte a Warlock (1959), Pat Garrett & Billy the Kid (1973). In molti citano grandi film western del passato rintracciare dei precedenti al presunto western gay di Ang Lee. Se nei classici l'omosessualità era latente, criptata, mascherata da rude amicizia ambigua, in Brokeback Mountain è esplicita, profonda e narrativamente centrale. Anche se il nuovo film di Ang Lee è un western contemporaneo, lo sguardo del regista ci porta sempre in un ambiente mitico, perso tra le montagne del Wyoming, circondato da una serie di riferimenti della vita dei cowboys più che dei pistoleros che non possiamo non rintracciare nella pellicola.
Sorprendentemente, Brokeback Mountain non è la famigerata pietra dello scandalo americano, bensì un film che più di molti altri ha saputo trattare con delicatezza e con il giusto trasporto una storia d'amore non convenzionale. La storia di Jack Twist e Ennis Del Mar arriva allo spettatore con il passo di un cavallo ramingo per la frontiera, ci appassiona più per lo spazio interno dei personaggi che per il loro contraltare esterno di paesaggi, piste per cavalli, strade anonime e anonime cittadine perse qua e là. Se lasciamo da parte la componente omosessuale, per altro insignificante davanti all'universalità dell'affetto che descrive, il film ci racconta una bellissma e sincera storia d'amicizia che sullo schermo tardava ad arrivare. Anche lo struggente I Ponti di Madison County gli arriva secondo.
Su a Brokeback non c'è storia. Non c'è un oggetto vero e proprio che attira a sè come satelliti gli altri elementi della vicenda. Noi assistiamo per tutta la prima parte del film al quodidiano rapporto di due giovani ragazzi che scoprono, l'uno nell'altro, il meglio che avrebbero voluto. Un quotidiano, fatto di accampamenti, fagioli, pecore, lupi e orsi da scacciare, fiumi da guadare, tende da piantare e smontare e solo in mezzo a tutto questo scatta la passione sessuale. La seconda parte ci illustra invece, come una serie di belle foto d'epoca, l'incedere pesante degli anni, con famiglie che non sono i sogni che i giovani si aspettavano, con lavori che vorresti piantare subito, con un tessuto culturale dal quale è consigliato scappare. È insomma un progressivo sviluppo dell'apatia, alternata alla passione che solo i due protagonisti conoscono.
Brokeback Mountain non si ferma ai cow-gay, ma va oltre. Parla dell'impossibilità di essere possibili. Dell'amore trattenuto, inesploso, sofferto che accompagna molte vite. Spesso quelle dure, quelle solitarie, quelle selvatiche come quella di Ennis Del Mar, o quelle fragili, a metà, che vogliono qualcuno da abbracciare come quella di Jack Twist. Brokeback Mountain non parla della passione, ma del sentimento. Un film che può commuovere chiunque perchè individua nello scarto tra sesso e amore il ruolo irrinunciabile dell'amicizia. Intesa, questa, come passione e sofferenza per l'altro, uomo o donna che sia, senza il quale non possiamo stare, il cui "suono della sua voce ci mette in croce", per dirla come la Bertè.
Ang Lee firma anche un bel film cinematograficamente parlando, dove la lentezza della regia dà i tempi al sentimento, e non s'interessa dell'interessante, ma anche di ciò che starebbe bene fuori dall'inquadratura: tutte quelle piccole cose insignificanti, che in un rapporto d'amore e in una vera amicizia fanno la differenza. Le mogli non possono capire, gli amanti vorrebbero il paradiso in terra, le figlie non fanno differenze e le madri in lutto capiscono, e come se capiscono. La componente crepuscolare è fortissima proprio per questi elementi evidenziati con cura e con dolce maternità. Per non parlare dei due interpreti. Heath Ledger nel ruolo che vale una carriera con un'interpretazione intensa e coinvolgente dà vita ad un personaggio che mancava dagli schermi da molto tempo. Ledger, con quella smorfia alla Robert Mitchum, trattiene e soffre un'amore possibile, che lui vede solo impossibile. La bravura con cui s'avvicina ai nostri cuori è il manifesto più importante della riuscita del film e sta tutta là in quel “Tu non puoi capire” che ci mette i brividi, detto a denti stretti, a muscoli tesi, con rabbia soffocata.
Jake Gyllenhaal, invece, in un ruolo più scomodo perchè nervoso e patetico nell'assidua ricerca della definizione della coppia, ha dalla sua il talento che lo distingue fin da Cielo d'Ottobre, ma soprattutto con Donnie Darko. Anche in The Day After Tomorrow Gyllenaal è il volto umano di un film ad alto tasso di effetti speciali che forse senza di lui sarebbe stato un film mediocre. La sua umanità passa da ogni suo sguardo e ogni suo gesto e invade dapprima il personaggio, poi il campo scenico e infine arriva allo spettatore.
Uno dei capolavori silenziosi degli Anni Zero arriva subito dopo Million Dollar Baby e non credo sia un caso. In Eastwood troviamo l'esplosione per i sentimenti repressi e cacciati attraverso la resa di un personaggio rude, scontroso, a tratti “stronzo”, pienamente eastwoodiano. In Ang Lee troviamo la stessa esplosione consumata nella corruzione del tempo e delle speranze. Un grido silenzioso che ci invita a rifiutare la società e i suoi sistemi borghesi per essere noi stessi. Ennis e Jack come Frankie Dunn. I cuori s'inclinano e si spezzano, ma almeno vivono in una camicia, in un ricordo, in una parola non detta, o anche in un giuramento fermo e deciso, come quello che chiude il grande, intimo e inaspettato Brokeback Mountain.
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