Regia di Terry Gilliam vedi scheda film
Le favole dei fratelli Grimm sono terreno fertile per la visionarietà allucinatoria di Terry Gilliam. Un regsita che usa il cinema come un caledoscopio di invenzioni e sorprese, conducendoci sempre in viaggi tra il fantastico e lo spaventoso.
I fratelli Grimm, scopriamo subito, essere due allegri truffatori. Sfruttando le paure del popolo e le loro leggende i due allestiscono brevi performance teatrali per alzare un pò di soldi.
Subito Gilliam richiama i fasti del suo Barone di Munchausen pagando pegno alla spettacolarità del teatro. Inteso come luogo della finzione e della magia, luogo in cui i trucchi diventano reali e le streghe possono volare e trasformarsi in un mucchio di serpenti.
Poi la storia parte e segue il suo cammino. Gilliam riesce a mescolare vari piani narrattivi. Intreccia abilmente la realtà della finzione con quella immaginaria delle favole degli stessi Grimm. Cappuccetto Rosso, il Lupo Cattivo, Hansel e Gretel sono tutti elementi reali della storia narrata dal film. Jakob (il più folle e sognatore dei due fratelli) prende appunti, si segna miti e tradizioni popolari, prende spunto dal reale per creare il suo futuro fantastico. In realtà quello di Gilliam è un gioco di specchi in cui attraverso il duplice binario realtà/finzione si allargano le dimensioni e la vastità delle storie raccontate. E non a caso la vera e unica strega del film (la nostra bellissima Monica, qui finalmente doppiata) è in realtà la regina degli specchi (Mirror queen, nell’originale). Il suo potere è quindi nello specchio, nel riflesso, nell’immagine. Metafora del cinema e del teatro dunque, capaci come non mai di creare illusioni e inganni.
I due fratelli affronteranno impavidamente ma anche molto ironicamente le loro avventure. Passeranno attraverso magnifiche camere di tortura, gastronomici generali francesi e un meraviglioso personaggio italiano, rampollo di una famiglia parmense, che ha fatto della tortura un’arte.
Alla fine arriverà l’amore e forse la fortuna. I due, da quanto si capisce, lasceranno la via delle truffe e dell’avventura per quella della scrittura.
In profondità si parla anche della nascita, nelle varie tradizioni e culture, delle proprie mitologie popolari. Fatte di streghe, maghi, mostri e lupi. Il bosco sembra il luogo deputato per l’azione malvagia, i bambini le vittime preferite. Boschi magici in cui lo stato allucinatorio dei personaggi prende il soprravvento. Alberi che si muovono, leccate psichedeliche di rane, paura e delirio nella foresta, mi verrebbe da pensare.
Molto accurato il lavoro sui colori e la composizione dell’immagine. Referenti primari, sicuramente, Bosch e Brueghel.
Quello di Gilliam è un cinema alchemico e magico capace di far meravigliare lo spettatore come pochi. Gilliam si riappropria di un’arte ormai scomparsa, quella delle lanterne magiche e delle camere oscure, quell’arte che sta alla base del cinema stesso.
L’arte di saper stupire.
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