Regia di George Clooney vedi scheda film
“Good night, and good luck” è un film asettico, che con stile asettico parla di un mondo tutt’altro che asettico. Un giro di parole per dire che George Clooney, regista, interprete e co-sceneggiatore di questo film intenso, meticoloso e concreto, mette in scena una storia narrata secondo canoni atipici; è come se, rimanendo in tema, il fare giornalismo divenisse tutto d’un tratto esclusivo sinonimo del “fare cronaca”. Senza commento. Senza la minima ingerenza della propensione autoriale sulla narrazione dei fatti. In America avveniva così: si distingueva cronaca da critica e si andava avanti lasciando al pubblico la libertà di farsi un’opinione. Il passare dei tempi poi, ha modificato le circostanze. E nonostante ancora oggi gli Stati Uniti siano per larga parte il baluardo indefesso della libertà di stampa, la situazione non è più quella di un tempo.
Ecco perché per un italiano che guarda il film di Clooney, “Good night, and good luck” appare lento, privo di messaggio: semplicemente inutile. Ad un americano, abituato ad uno stile e ad una responsabilizzazione maggiore della categoria giornalistica, potrebbe invece, con maggiore probabilità, apparire un film onesto e coraggioso.
Che si venga dall’Italia o da oltre Oceano, rimane il fatto che “Good Night, and good luck” è l’ennesima, coraggiosa riprova di come Clooney sappia come sfruttare, della settima arte, la sua ontologica indole comunicativa, lasciando un inevitabile spunto di riflessione in coloro che decidono di guardare i suoi film. Una riflessione che, purtroppo, al di qua come al di là dell’Atlantico, il cinema, ma soprattutto la televisione e la politica sembrano aver definitivamente rinunciato a sollecitare.
L’aver riportato alla luce dei riflettori la storia della cosiddetta “Caccia alle streghe” indotta dal McCarthismo è un atto non casuale, in un periodo come quello che stiamo vivendo. Allo stesso modo di come l’aver ambientato per il 99% il film esclusivamente in interni stia a simboleggiare quel senso di claustrofobia che una (generalizzata) situazione così stagnante necessariamente comporta.
Ritornare alle parole di Murrows è un diritto sacrosanto: solo “quel” fare giornalismo significa fare giornalismo, come solo “quel modo” di fare televisione è degno di tal nome. Ma purtroppo entrambi i modus operandi sono cambiati. Solo la politica, che è la cosa che invece sarebbe dovuta cambiare per davvero, è rimasta uguale: sempre e comunque tizi arroganti e scarsicriniti, ossessionati dalle streghe con occhi a mandorla ed in toga rossa che non hanno nulla di meglio da fare che bollire i bambini.
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