Regia di Laurent Cantet vedi scheda film
Turisti non per caso che oziano tra le palme di alberghi paradisiaci affacciati sulla spiaggia nell’assolata isola di haiti. Laurent Cantet esce dalle fabbriche e dalla vecchia e stanca Europa ma le dinamiche da cui è attratto sono le stesse: lotte di classe, caste, nord e sud, poveri e ricchi, sfruttatori e sfruttati. Attraverso due donne d’altra età, una più sui sessanta l’altra più sui cinquanta, che ben rappresentano l’opulento Occidente che non riesce a scrollarsi di dosso la sua propensione a colonizzare coscienze e portafogli, stanze d’hotel dorati e finanche i corpi d’adolescenti neri, puri come l’acqua del mare nel quale si specchiano, Cantet costruisce un film intimista e quasi d’inchiesta, scegliendo la strada del reportage psicoanalitico, del documentario (i protagonisti parlano guardando direttamente in macchina come fossero testimoni oculari di una tragedia, di un delitto, di una manomissione) e dell’opera d’autore rielaborata fin nei minimi dettagli. Portando a casa materiale umano e sociale di prim’ordine. E dimostrando che si può parlare dell’oggi, di politica, di antropologia, di dittature, di storture della Storia filtrandoli nelle decadenti avventure di un gruppo di privilegiate che, ogni estate, si sbarazzano della loro quotidianità per andare a rintracciare le ultime emozioni possibili. Bravissimo è Cantet anche nel dirigere gli attori, da una Charlotte Rampling costretta ad abbattersi qualche primavera, dura e fragile, impassibile e melodrammatica, a Karen Young, sconvolta dal primo orgasmo vissuto sulla sabbia e dunque prigioniera di quel sogno. Oltre a Lys Ambroise - il direttore dell’albergo - sul quale il regista apre e chiude giustamente la sua lucida, dolente e autocosciente arringa - rimane scolpito negli occhi il giovane Legba (l’attore Ménothy Cesar), oggetto del desiderio di un mondo obbligato a pagare per avere in cambio l’illusione di poter flirtare ancora un attimo con una bellezza che più non gli appartiene.
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