Regia di Salvatore Samperi vedi scheda film
Ci sono film che, a loro modo, hanno segnato un’epoca e che a quella rimangono giocoforza agganciati.
Nel caso di “Malizia” si può tranquillamente parlare di fenomeno di costume del suo tempo, peraltro non solo italiano, ma internazionale (mi rifaccio alle parole di Salvatore Samperi presenti negli extra del dvd) che oggi trasmette sensazioni molto diverse e d’altro canto non può che essere così.
Dopo la prematura scomparsa della moglie, Ignazio (Turi Ferro), si ritrova da solo con tre figli maschi da crescere.
In suo aiuto arriva Angela (Laura Antonelli), governante perfetta e piena di premure oltre che molto bella.
Inevitabile che col tempo l’uomo provi per lei qualcosa di più, i due decidono anche di sposarsi, ma per il prete occorre che i figli siano tutti d’accordo e tra questi Nino (Alessandro Momo) non lo è, ma non certo per il fatto di ritrovarsi una nuova figura materna.
Per lei ha infatti una vera e propria ossessione che si accompagna alle sue prime voglie sessuali.
Assorto a rango di “cult”, “Malizia” non rientra certo nella categoria dei tanti film “pecoroni” che hanno solleticato le papille gustative di milioni di italiani, ma ha un suo “perché”.
Il lato erotico è presente, ma poi presentato in maniera esplicita in due occasioni e più sottolineato da atteggiamenti e sguardi, oggi come oggi fa invece più impressione un certo retrogusto che si muove con un sottile velo di melanconia solo in parte aumentato da quanto è successo negli anni alla sua protagonista recentemente scomparsa nella solitudine che l’accompagnava da anni (dopo esser stata sulla bocca di tutti per pesanti accuse).
Non manca comunque di difetti, ad esempio non è molto continuo, alterna fasi più riuscite ad altre meno, ad un certo punto s’incanala troppo nello scontro Nino-Angela, ma c’è sempre qualcosa che ricompone un minimo di interesse.
A parte la figura offerta da Laura Antonelli, di cui si è parlato pure troppo, la presenza di Turi Ferro è senz’altro un punto di forza grazie all’immagine che riesce a fornire del padre ingrifato e sfortunato (e pensare che è arrivato alla parte solo perché tutti i “big” di allora la rifiutarono), così come lo è quella dello sfortunato Alessandro Momo, visto che sicuramente non era facile trovare in quegli anni un ragazzino così perspicace e pure furbetto.
Ad aiutare ulteriormente ci pensano maestranze di livello (quando si dice che i tempi son cambiati), come ad esempio il grande Vittorio Storaro alla fotografia, che nella scena culmine con la torcia da sfogo a tutto il suo talento e che comunque contribuisce a fornire una patina generale ben lontana da ciò che si vede nei film “spazzatura”.
Un film sopravvalutato da alcuni e relegato nell’oblio da altri, con la verità che probabilmente sta nel mezzo; non si vola alto, ma non sempre questo è necessario ed una buona dose di incantata ingenuità può renderlo ancora oggi apprezzabile.
(Oggettivo) Cult.
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