Regia di Fabio Carpi vedi scheda film
L’amore. Spogliato del Verbo che crea. E rivestito unicamente dell’anima che osserva muta, senza capire. Un sentimento intenso e profondo, perché primordiale; un istinto che rapisce la mente, eppure non annienta i pensieri. Il corpo è la miccia che innesca l’incendio: la fiamma brucia a fuoco lento, e vaga senza meta, facendo piazza pulita di ogni ostacolo, ed azzerando tutte le differenze. Non c’è nessuna retorica romanticheria dietro questa metafora, che descrive un’esperienza tanto irragionevole quanto totalizzante. Sarebbe il testo di una favola, se si riferisse ad un sogno che rende ciechi, spegnendo la percezione della realtà. Ma qui, invece, tutto viene vissuto ad occhi aperti, con l’attenzione e la memoria ben vigili, nella piena consapevolezza del mondo. Un padre e un figlio si confrontano con l’attrazione provata per la stessa donna, una sconosciuta venuta chissà da dove, che si esprime in un idioma mai sentito. Il mare l’ha portata fino a loro, introducendo nelle loro vite un nuovo, inatteso punto di riferimento, tanto solido ed ineludibile quanto inafferrabile. Entrambi la desiderano, ma nessuno dei due la può avere. La può solo guardare ed adorare a distanza, nell’impossibilità di conversare con lei. Non gli resta allora che interrogare se stesso sul significato di quel misterioso trasporto, che sconvolge l’esistenza, diventandone il centro di gravità, ma senza alterarne il contenuto. Il sessantaduenne Giacomo, professore di entomologia, prosegue le sue ricerche sulle farfalle; il quindicenne Giacomo, un adolescente goffo e riservato, continua a recitare mentalmente le poesie del Duecento. Il primo, troppo anziano, il secondo, troppo giovane, sono i vagheggiatori di un legame irrealizzabile, che si intreccia con le rispettive abitudini e le inclinazioni intellettuali, riempiendone tutte le fibre, sia pur nella dimensione astratta della fantasia filosofica. Quella misteriosa presenza femminile invade il loro essere, colorandone gli accenti più logori e spenti, e ravvivandone i toni, ma senza potersi tradurre in un alcun progetto concreto. L’ardore della innamoramento è a portata di tutti: è una minaccia onnipresente, una trappola in cui è davvero facile cadere. Il rapporto di coppia, invece, è un meccanismo che si innesca solo sotto particolari condizioni, rispondendo a banali criteri di affinità e convenienza. Lei finirà tra le braccia di un lui coetaneo, che parla la sua stessa lingua, che si direbbe fatto su misura, che sembra il suo naturale compagno. Alla forza di questa logica l’uomo ed il ragazzo dovranno soccombere, ma senza riuscire a rassegnarsi alla sconfitta. Il loro discorso andrà avanti, alimentato dall’industriosa disperazione che non smette di macinare il dolore, di rimuginare l’astio, di inventare modi per contrastare il destino. La scrittura di Fabio Carpi e Luigi Malerba, fitta, ma sobriamente calibrata su una visionarietà essenziale, affronta la visceralità con il linguaggio figurato proprio della didattica scientifica, che spiega ed esemplifica finché può, ma poi si ferma, col dovuto rispetto, di fronte ai fondamenti della teoria (Mangiare significa mangiare). Il racconto si fa così contegnosamente languido, mentre la carezza della parola smussa gi spigoli del suo andamento severo, rigorosamente scandito dal graduale cammino della scoperta.
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