Regia di Robert Redford vedi scheda film
A volte la normalità è come un vecchio gioco logoro, di cui si conoscono a menadito tutte le regole, e di cui, però, si è perso il gusto. È la forma del quotidiano senza la sostanza; solo a tratti si riaccende una benevola illusione, che sembra ridare corpo ad una vita ormai svuotata. E intanto ci chiediamo come un dolore così grande, un'enormità di tal portata, possa rimanere sospeso nelle trame leggere e fragili dell'ordinario, senza cadere rovinosamente e trascinare tutto dietro a sé. I consueti discorsi servono solo a dare nuovi spunti per affondare il dito nella piaga, oppure, al contrario, nuove occasioni per non dire ciò che ci opprime il cuore. Difficile non è stare dentro alla tragedia, bensì starci intorno, cercare di afferrare, in un disperato girotondo, la mano di chi ci è vicino, mentre ci affacciamo sulla voragine di un perché che ci respinge. L'abisso emana un buio che nasconde i volti e simula la lontananza; così non ci riconosciamo più nel familiare, e non arriviamo più a toccare il nostro prossimo. Gente comune interpreta con straordinaria sensibilità il dramma del trauma onnipresente, che, nel lutto, giace silente in mezzo a noi, aggirato, ignorato, rivestito di una patina di finta accettazione; non osiamo parlarne, ma non tanto per evitare il pianto, quanto per il terrore inconfessato di scoprire che il mostro che abbiamo lì, davanti a noi, non è lo stesso che appare a coloro che amiamo.
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