Regia di Roberto Faenza vedi scheda film
Olga (Buy) è una quarantenne con un lavoro interessante (fa la traduttrice), vive a Torino in una casa bella e spaziosa e ha due figli che adora. La sua vita si trasforma repentinamente quando il marito (Zingaretti), un ingegnere di successo, la lascia per una donna più giovane. Per Olga è l'inizio di un inabissamento esistenziale che la porterà a degradarsi come donna, come madre e come professionista, alternando il disprezzo di sé con sussulti d'orgoglio e impeti di violenza. Sarà la garbata e discreta presenza amorevole di un vicino di casa che fa il musicista (Bregovic) a restituirle dignità.
Film controverso, che poggia quasi per intero sulle spalle di una Magherita Buy di bravura impressionante, I giorni dell'abbandono - tratto da Elena Ferrante (uno pseudonimo sotto il quale nessuno sa chi si nasconda) - parte bene puntando su una fenomenologia della quotidianità dei rapporti amorosi che si perde però rispetto alle premesse. Reso troppo esplicito dalla figura dell'alter-ego della protagonista (una clochard che vive nella stessa zona di Olga), puntellato da tutte le varianti possibili sulla discesa agli inferi della protagonista (la scena in cui ingaggia una lotta grottesca con un ramarro entrato in casa è una virata di stile eccessiva), il film di Faenza sposa un punto di vista "biologico" sulla fenomenologia del rapporto di coppia ("amerai i miei bambini?", domanda Olga al musicista, nell'inconscia speranza di trovare un sostituto alla figura paterna) che manda in cortocircuito le didascalie poetiche di alcune scene (l'incontro a distanza di tempo col marito) con l'esplicitazione parossistica del racconto.
A martoriare le orecchie dello spettatore interviene, sui titoli di coda, una canzone di Carmen Consoli.
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