Regia di Ralph Bakshi vedi scheda film
Fritz è un gatto debosciato, tossicodipendente, pornomane e soprattutto completamente privo di personalità. Fra uno spinello, un'orgetta e una fuga dalla polizia, Fritz viene coinvolto in un attentato anarchico che gli costerà quasi la vita.
Un film talmente brutto da prenderne in ogni modo le distanze - così lo giudicò lo stesso creatore del personaggio di Fritz the cat, ovverosia Robert Crumb - e perfino da convincere l'autore a uccidere la sua creatura in una striscia a fumetti per non doverci avere mai più a che fare, poco tempo dopo l'uscita della pellicola. A complicare e peggiorare ulteriormente la situazione ci si mette poi la traduzione italiana, che esige un sottotitolo ingombrante e (parzialmente) fuorviante come Il ritorno del pornogatto. Essendo la prima pellicola che immortala il felino satiro e drogato ideato da Crumb, è anche difficile capire il perchè di quel 'ritorno'; ma soprattutto 'pornogatto' è una parola ridicola che non descrive granchè dei contenuti del film, o peggio ancora li riduce a qualcosa di idealmente gratuito. E invece la pornografia, peraltro molto contenuta, è qui un veicolo necessario a stigmatizzare certe crude realtà della vita contemporanea; per di più portare avanti questo tipo di discorso tramite cartoni animati è metodo indubbiamente poco offensivo per lo sguardo dello spettatore: l'idea di distribuire il lavoro soltanto a un pubblico maggiorenne (per la prima volta nella storia del cinema di animazione, va sottolineato) parrebbe esagerata, ma così le cose sono andate. Nulla che abbia comunque impedito a Fritz the cat di raggiungere incassi record, specie per un prodottino a basso budget; perchè quindi Crumb se l'è presa così tanto con il film? Presumibilmente perchè, nonostante il buonissimo lavoro dal punto di vista artistico di Ralph Bakshi (sceneggiatore e regista), l'opera risulta spesso ridondante, pesante negli argomenti, scioccante per il puro gusto di esserlo (non mancano neppure accenni di razzismo e sessismo) e, qui senz'altro la colpa maggiore, ampiamente fuori tempo massimo nei contenuti. Una critica al '68 (in realtà, negli Usa, cominciato già l'anno precedente con la cosiddetta Summer of love) che arriva quasi un lustro più tardi, lascia il tempo che trova già all'uscita stessa della pellicola; figuriamoci vedere un lavoro di questo stampo dopo parecchi decenni: impietosamente, risulterà invecchiato malissimo. 4/10.
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