Regia di Garth Jennings vedi scheda film
È veramente curioso il fatto che questo primo adattamento della serie “The Hitchhiker's Guide to the Galaxy”, ovvero la celebre trasmissione radiofonica della BBC da cui venne pure stilato il libro di Douglas Adams, fu accolto piuttosto freddamente dalla critica, nonostante in patria abbia avuto incassi soddisfacenti in qualità di produzione a basso budget. Si tratta di una space-opera iperbolica, dallo british humor lascivo, per quanto estroso, in cui il pusillanime Arthur Dent (Martin Freeman) assieme all’amico Ford Prefect (Mos Def), sfugge alla distruzione della Terra da parte dei “Vogons”. Ford però si rivela essere un giornalista freelance di un altro pianeta che sta scrivendo la “Guida galattica per autostoppisti”, una sorta di enciclopedia universale. I due riescono a mettersi in salvo in tempo, inizialmente nella nave nemica e poi nell’astronave del "semi-cugino" di Ford Zaphod Beeblebrox (Sam Rockwell), un fraudolento e istrionico politico spaziale alla ricerca di Magrathea, il corpo celeste dove si trova un super computer che sarebbe in grado di rispondere all’eterna domanda sulla vita. Casualmente, ad accompagnarlo nelle squinternate imprese, c’è l’affascinante Tricia (Zooey Deschanel), una donna di cui Arthur si era invaghito mesi or sono. Sopravviveranno a questa caleidoscopica ed impervia avventura? Il regista Garth Jennings ha uno stile ruspante, incline a sfoggiare un registro rocambolesco che si protrae senza interruzione di battuta, finché non va quasi in esacerbazione. Attenzione però, perché sebbene ci siano delle evidenti, altalenanti verbosità, le quali disorienteranno la platea che non conosce la fonte d’origine (le metafore relative al sistema di funzione a “probabilità infinita” e il senso delle continue trasformazioni dei protagonisti non sono esattamente elementi accessibili per chi non conosce il lessico di Adams), questo prodotto espone comunque delle trovate intelligenti e spassose: viene risolta (era ora!) l’incongruenza della lingua inglese parlata dagli alieni con l’espediente del babelfish, esserino che traduce le onde cerebrali, e ci si trastulla con i frangenti attinenti al già citato elaboratore di Magrathea "Pensiero Profondo" (il quale replica all’interrogativo sul creato in modo "deludente"), nonché con la sortita del sacerdote viscido “Humma Kavula” (John Malkovich!), intento ad accaparrarsi l’arma “punto di vista”. Nel cast Freeman esibisce un convincente talento comico, e la chimica con Rockwell e la sexy Deschanel è dopotutto discreta, anche se non si risparmiano delle parti gratuitamente triviali (gli scontri con Rockwell sono divertenti; tuttavia diventano presto ampollosi e ripetitivi). Simpatico nondimeno il robottino depresso e pregevolissimo il lato tecnico: “The Hitchhiker's Guide to the Galaxy” ha un production design suadente, una colonna sonora che rimembra Williams, e degli effetti speciali notevoli. La rutilante, maestosa sequenza ambientata nel cantiere galattico, ad esempio, svela una spettacolarità che in sala doveva avere un certo impatto… Si poteva fare di meglio? Sì, con uno script meno pasticciato che non porta ad un ritmo a tratti zoppicante, e, magari, una maggiore esemplificazione dell’intricato soggetto. Se vi piacciono i lungometraggi di Reitman e Landis “The Hitchhiker's Guide to the Galaxy” si conferma in ogni caso una sci-fi comedy briosa ed avvincente.
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