Regia di Leon Klimovsky vedi scheda film
Un americano viene chiamato a Ghentar, dove si sta organizzando un colpo di stato, per recuperare una cassa preziosa in fondo al mare. La missione è più ardua del previsto, e soprattutto include non poche sorprese.
Leòn Klimovsky, regista argentino, ha lavorato anche dalle nostre parti contribuendo al cinema di genere nostrano con qualche non banale lavoro; fra di essi spicca senz’altro questo A Ghentar si muore facile, titolo che viene da una delle prime frasi pronunciate nella pellicola e che, con quell’aggettivo usato a mo’ di avverbio, cerca di arruffianarsi l’audience popolare cogliendo il suo slang. Nulla di eccezionale, va detto subito: si tratta dell’ennesimo film d’avventura, quasi una spy story (filone che in quel periodo d’altronde andava alla grande) con inserto da grande rapina (in questo caso specifico: diamanti) e massiccia dose di azione; ciò che fa la differenza rispetto a tante altre opere coeve e piuttosto simili è la discreta mano dietro la macchina da presa, che dirige in maniera sufficientemente coinvolgente un cast – frutto della coproduzione italospagnola – nel quale non spiccano grandi interpreti al di là del protagonista George Hilton, convincente come sempre. Al suo fianco troviamo, tra gli altri, Ennio Girolami (alias Thomas Moore), Marta Padovan, Luis Marin, Venancio Muro, Alfonso de la Vega e Alfonso Rojas; musiche pseudowestern (altro genere non del tutto alieno al contesto) di Carlo Savina e sceneggiatura che reca le firme di Manuel M. Remis (autore anche del soggetto), Roberto Natale e Gino de Sanctis. Durata fuori dagli standard del periodo: poco meno di due ore. 3,5/10.
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