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Il gaucho

Regia di Dino Risi vedi scheda film

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La recensione su Il gaucho

di LorCio
8 stelle

All’epoca il film non fu apprezzato, nemmeno da coloro che lo realizzarono. Probabilmente fu realizzato con un obiettivo (ai tempi era di moda spostare gli attori all’estero, specialmente Sordi, ad esempio ne Il diavolo, con cui vinse addirittura il Golden Globe), ma sotto sotto c’era tutt’altra intenzione, più acida e meno scontata. Gassman soltanto anni dopo ne riconobbe il valore. Buon per lui, anche perché Marco Ravicchio è uno dei suoi ruoli più efficaci, logorroico ed esuberante come solo Vittorio riusciva ad essere in un registro così maledettamente sopra le righe.

 

Marco è il perno centrale di una storia tutto sommato corale che racconta la traversata argentina di un gruppo di cineasti (parola desueta ma abbastanza utilizzata nel film) impegnati a promuovere un film di dubbia qualità ad un festival locale. Inutile a dirsi che l’interesse principale del cattivissimo Dino Risi (e di Ruggero Maccari, Tullio Pinelli e Ettore Scola) sia quello di mettere in ridicolo un certo cinema italiano provinciale ed arruffone (romanocentrico, naturalmente) che arranca sempre in terza fila facendo un salto in prima soltanto per un motivo imprescindibile: mangiare, anzi, magnare, che è tutta un’altra cosa.

 

Non è un caso che una delle attività più frequenti dei protagonisti del film sia magnare, a spese del pazzoide Amedeo Nazzari, industriale miliardario trapiantatosi in Argentina con una preoccupante e ridicola ossessione per l’Italia, che accetta di buon grado di ospitare i suoi amici (siamo tutti paesani!) della penisola da lui tanto amata. Peccato che gli “amici” italiani” lo trattino da deficiente: gli danno buca agli appuntamenti, approfittano dei suoi mezzi (una barca, un villone, tanti soldi), gli mettono le corna (Marco ha una relazione con Ines, la di lui moglie annoiata e nauseata da troppa italianità).

 

Film di viaggio, scalcinato e per certi versi anche disperato nonostante il tono scanzonato, amarissimo specialmente nella seconda parte, quando entra in scena un ottimo Nino Manfredi in un ruolo tristissimo assolutamente nelle sue corde, nota evidentemente drammatica in una commedia più agra che dolce. Una commedia intimamente crepuscolare nonostante il tono eccitato, ma dalla dimensione caciarona e buffonesca, coerente col percorso di Dino Risi (è un film esattamente corrispondente alla poetica del regista milanese) e sicuramente sottovalutata. Sottovalutata, tra l’altro, è anche la prova di una grande Silvana Pampanini, che, parodiando ironicamente se stessa (una diva quarantenne ma già sul viale del tramonto, alla ricerca di una sistemazione famigliare), porta a casa la più bella prova della sua carriera da diva domestica.

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