Regia di Mario Chiari, Joseph Anthony vedi scheda film
Siamo alla fine della seconda guerra mondiale e ad Atene un contingente alleato si rifugia in un albergo, peraltro contenente un arsenale nazista. L’assedio esterno si rafforza grazie a un traditore e la situazione precipita.
La città prigioniera non è una coproduzione italoamericana, bensì una produzione italiana (Lux) E americana (Paramount); pare infatti di intuire – anche grazie a quanto sostiene il Mereghetti – che della pellicola esistano due versioni, entrambe dirette da Mario Chiari, ma differentemente montate: al pubblico d’oltreoceano è giunta infatti la versione orchestrata da Joseph Anthony, cui viene attribuito il lavoro (“un film di”) sui titoli di testa, mentre al nostro Chiari viene lasciata, in basso e più in piccolo, la dicitura “regia di”. Al di là di questi pasticci, peraltro abbastanza tipici negli pseudo-kolossal internazionali dell’epoca, il film è visibilmente poco ‘italiano’ nella maniera in cui si propone innanzitutto come racconto di guerra, tutto azione e sentimenti, mentre lascia costantemente in secondo piano la Storia, considerata qui più un’ambientazione che un argomento. La sceneggiatura firmata dal tris composto da Eric Bercovici, Marc Brandel e Guy Elmes prende spunto dall’omonimo romanzo di John Appleby; il cast sfodera buonissimi nomi di sicuro impatto sul pubblico, fra i quali David Niven, Martin Balsam, Michael Craig, Ben Gazzara, Daniela Rocca, Lea Massari, Venantino Venantini e Clelia Matania. Il ritmo è appena sufficiente, diciamo non alle stelle, anche perché la storia impone la ricerca (a dire il vero non sempre redditizia) di una continua tensione; musiche di Piero Piccioni, fotografia di Leonida Barboni e scenografie del già citato Chiari. 4/10.
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