Regia di Dario Argento vedi scheda film
Il Gatto a Nove Code è il film più "prototipale" e potenziale di Dario Argento.
Il secondo lungometraggio del filmmaker italiano sembra contenere già in sé delle caratteristiche visuali e schermiche definibili, in un certo qual modo, "suspiriane"; come se il film fosse avvolto da un inconscio desiderio tovoliano; un'impellenza tovoliana come preparazione all'irreale o, forse, al soprannaturale, nonché, appunto, al "suspiriano".
Il Gatto a Nove Code è già sorprendentemente, da un punto di vista teorico, un film definitivo e definito; ultimo. Un lavoro troppo avanti. Forse, proprio per questo, da rimuovere. Da resettare.
Un'asfissia di campi e controcampi dello sguardo o, nello specifico, dell'occhio; tra ciò che l'occhio può vedere ma non riesce a visionare, e ciò che non può vedere ma riesce comunque a visionare.
Quindi, il suo film più prefigurante. Oltre il pericoloso.
Film-dinamitardo. Il più, per quanto riguarda l'aspetto concettuale, schizofrenico ed urgente; nietzschiano.
Un film-animale.
Quasi come fosse Split diretto da Alfred Hitchcock.
Insomma, Il Gatto a Nove Code lo si potrebbe definire, a conti fatti, come un intempestivo tilt del cinema argentiano.
Un prematuro infarto teorico.
Un cortocircuito di logica e di sguardi.
L'iride di tutto il suo cinema.
Un'opera(zione), in sostanza, avventata e precoce.
In anticipo. Troppo veloce. Che brucia. Cieca.
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