Regia di Dario Argento vedi scheda film
L'Uccello dalle Piume di Cristallo (1970), fu un ottimo successo in italia (13esimo negli incassi in quella stagione), mentre spopolò nei paesi anglosassoni, specie negli USA. Sulla scia delle pellicole di Dario Argento stavano uscendo una marea di epigoni aventi nel titolo il nome di un animale e con uno stile che tentava di rifarsi al suo, così gli americani fiutando l'affare propongono al regista una nuova pellicola co-finanziata anche da loro, così Argento accetta all'istante, senza rendersi conto però del guaio in cui si sta cacciando.
Il budget è maggiore, ma i produttori americani vogliono avere molta voce in capitolo nelle scelte creative del film, imponendo tanto per cominciare un cast principale di attori americani, che se nella parte del cieco Franco Arnò, interpretato dal buon caratterista Karl Malden che qualcuno si ricorderà per Il Trama che si Chiamava Desiderio di Elia Kazan (1950), purtroppo come co-protagonsita decidono di imporre James Franciscus, il quale sembra un pesce fuor d'acqua nella stra-grande maggioranza delle sequenze del film dove interpreta giornalista Carlo Giordani, che insieme al cieco decide di indagare sulla morte del dottor Calabresi e su altri omicidi che sembrano essere legati al laboratorio di genetica e ad un inspiegabile episodio di intrusione notturna dove a seguito di indagine, viene accertato che in apparenza nulla è stato rubato.
Alla suo secondo film bisogna ammettere che la recitazione tutto sommato sia la migliore in assoluto tra tutte le pellicole del regista da me visionate, rintuzzando al mittente una delle critiche storiche per quel che riguarda la scarsa capacità di dirgere gli attori, perchè in tale opera Karl Malden e Catherine Spaak, ci mettono il loro mestiere ed un pò l'uno ed un pò l'altra riescono a far passare in secondo piano le non eccelsi doti recitative di James Franciscus nei panni di un improbabile giornalista italiano. Persino l'umorismo, seppur concepito con il pennarellone grosso, riesce ad azzeccare sequenze d'ironia Hitchockiana riuscite come quella dal barbiere tramite quel rasoio che volteggia per aria guardato con preoccupazione da Carlo Giordani, la sequenza del cimitero (tirata però troppo per le lunghe) con un interessante ribaltamento di prospettiva non portato avanti per rientrare subito in binari conformisti, oppure l'ironica sequenza del bicchiere di latte presa di pari peso dal Sospetto (1941) del cineasta inglese; così come una certa morbosa attenzione ai dettagli degli oggetti, seppur certe volte si scada in metafore grossolane e ridicole come quella delle buste di latte inquadrate in primo piano e poggiate sul tavolo, per giungere all'equazione di latte = sperma (sottilissima!), per sottolineare il piacere sessuale di Carlo ed Anna Terzi (Catherine Spaak) mentre fanno sesso sullo sfondo e in pratica si veda tutto, un transfert erotico del tutto inutile, ridonante, goffo e patetico perchè la scena sta accadendo sotto i nostri occhi.
Che le cose non siano al livello del precedente film, lo si capisce anche dalla pretestuosità del titolo Il Gatto a Nove Code (1971), metafora della massa labirintica del mistero in cui basterebbe afferrare solo una delle code (simbolo di indizi) per giungere o comunque avvicinarsi alla risoluzione, in pratica il riferimento ad un animale è puramente pretestuoso (nonostante le riprese di alcuni animali dietro le vetrate di sfuggita nel centro di genetica), perchè collegato ad un mero brand commerciale per acchiappare il pubblico di riferimento.
Quello che Dario Argento sbaglia completamente rispetto all'Uccello dalle Piume di Cristallo, è poggiarsi completamente sulla scrittura per giungere alla risoluzione del giallo, lasciando completamente in disparte la componente visiva che invece rendeva distinguibile ed in parte originale il suo esordio (sarebbero bastati un altro omicidio in più per spingere ancora maggiormente sul lato visivo ed una scrittura più calibrata nei raccordi per avere un ottimo film, invece di uno buono e basta), che giungeva a risolvere in caso basandosi su una intuizione visiva, qui mancante del tutto finendo in tal modo fuori strada, perchè Argento sceglie di abbracciare uno stile più classico sia nella regia e sopratutto nella risoluzione della vicenda, la quale non ritorna per nulla a causa di una sceneggiatura sgangherata e troppo debole nel tratteggiare le psicologie dei personaggi (tranne quella del vecchio cieco), dove si affastellano una marea di figure presenti in scena per pochi minuti, senza che vi sia un solo indizio per giungere al colpevole, rivelato il quale crolla tutto perchè non solo la trama procede per strappi netti e singoli spezzoni, ma alla fine le code del gatto restano ingarbugliate senza poter sciogliere la matassa andando a ritroso. Argento abbandona Bava a favore di Hitchcock, ma a differenza del regista inglese, la pellicola risulta non solo male sceneggiata (ed un giallo deve essere scritto bene), ma esteticamente compie dei passi indietro rispetto all'esordio, cominciando dall'anonima fotografia di Erico Menczer che perde 100 a 0 con quella precedente di Vittorio Storaro, per passare ad una regia più posata e classica, che si esalta nei virtuosismi esasperati della soggettiva in un paio di omicidi (piuttosto anemici e anche ripetitivi nelle dinamiche, praticamente quando i nostri stanno per avere l'indizio decisivo, arriva l'omicida, ammazza e frega la prova), ma finendo con l'andare fuori tempo facendo svanire la tensione ed il ritmo, come nella scena di uccisione di Calabresi alla stazione dei treni, dove l'uso troppo insito, poco inventivo e prolungato di tale tecnica finisce con il disperdere il potenziale della tecnica.
Sembra come se Dario Argento, invece di fondere un genere come il thriller-giallo proveniente dall'estero con una visione nostrana, abbia deciso di fare una sorta di americanata con il suo stile, deragliando pesantemente dalle intuizioni del suo esordio, forse la produzione americana ha imposto un approccio più narrativo alla materia ed è magari anche responsabile in parte della minor presenza di sangue, però molte magagne mascherate abilmente dalla componente estetica, finiscono qui per emergere in modo preponderante. Il cinema di Dario Argento non è mai stato di scrittura, il suo esordio non era interessante perchè ben scritto, ma per le intuizioni visive che qui mancano del tutto, così come i vezzi tipicamente Argentiani sono pesantemente ammorbiditi se non assenti (la questione relativa ad Anna viene troncata di netto), giungendo ad un finale ridicolo e inutilmente pessimista per quanto goffo.
Il secondo film è sempre il più difficile dopo un esordio celebrato (forse troppo), se fossi stato un critico dell'epoca sarei rimasto fortemente deluso, però il pubblico nostrano apprezzò facendogli guadagnare il doppio del precedente film ed in america fu un successone ancora più grande, la carriera di Dario Argento era oramai ben avviata.
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