Regia di Richard Brooks vedi scheda film
Prescindendo dalle ferree regole del pur devastante Codice Hays, l’approccio degli studios nei confronti dello scandaloso testo del sempre-sia-lodato Tennessee Williams fu tranchant: eliminare la componente sessuale del protagonista maschile. Il cinema tratto da Williams, che è un autore che ragiona razionalmente sull’irrazionalità delle passioni proibite e quindi autentiche, si fonda sull’idea di far capire ciò che non si può dire o vedere, lasciando trasparire chiaramente tutta la crudeltà della sua opera, una specie di coltellata al cuore. Richard Brooks, raffinato artigiano del melodramma, sceglie di mantenere dell’impostazione teatrale la necessità di intrappolare i suoi personaggi disperati nella claustrofobica ed asfissiante cornice di un’opulenta casa dell’America del Sud (luogo topico di Williams: qui nella fattispecie siamo nel Mississippi). Ogni membro della famiglia ha un’ambizione, sociale o sentimentale, economica o sessuale, che coincide con la maledizione ad un destino cinico e baro.
Più che le atmosfere morbose, contano i personaggi dannati e sofferti: Paul Newman (eccellente) si dà all’alcol e alla clausura perché tradito dalla moglie e vittima di un amore impossibile a cui non avrebbe dovuto ambire; Elizabeth Taylor (eccitante), la gatta del titolo, ha consumato il tradimento che non le impedisce di coltivare tanto l’amore per il marito quanto il disprezzo per la famiglia acquisita; Burl Ives (maestoso) è il patriarca padrone incapace di pensare al prossimo, capitalista e brutale, che ambisce al potere sugli altri e si redime nel finale; Madeleine Sherwood è la cognata cinica ed arrivista che brama l’eredità e disprezza Newman e Taylor. Zeppo di scene madri, allusioni e situazioni che hanno alimentato decenni di drammi familiari in ogni luogo e in ogni lago, è un film seminale e potente che si assesta un po’ nel finale che tende al romanticismo edificante probabilmente obbligatorio per essere approvato da Hollywood.
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