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King Kong

Regia di Peter Jackson vedi scheda film

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La recensione su King Kong

di scapigliato
8 stelle

Kong è Uomo. Il suo sguardo è lo stesso di Jack Driscoll, di Carl Denham, e di Ann Darrow. L'uomo si riflette nella Bestia, si spaventa con essa, e tenta di salvarla perchè depositaria di un mistero universale che perpetua nel tempo (Ann Darrow). L'Uomo guarda la Bestia come un rivale, come un nemico, ma anche come se fosse la parte più vera di sè che osa dire e fare l'inosabile (Jack Driscoll). L'Uomo teme la Bestia, ma ne è attratto, capisce che quel elemento bestiale è insito anche in lui, e non riesce a tirarlo fuori se non attraverso la sublimazione, la rappresentazione, il cinema (Carl Denham).
Il "King Kong" di Peter Jackson, che non è affascinante come l'originale del '33 per ovvi motivi, è pur sempre lo spettacolo più grandioso che si sia visto sullo schermo dopo la trilogia jacksoniana di Tolkien. Perchè "grandioso" non è sinonimo di effetti speciali giganteschi, all'avanguardia e monumentali, ma "grandioso" è il respiro epico e avventuriero di un cinema che prima si faceva più modestamente, e che oggi può contare su molte tecnologie e più capitali. "The Goonies", "Indiana Jones", e pochi altri, sono ricordi dorati che portiamo nel cuore. "Jurassic Park" non ha avuto il loro impatto emotivo e immaginifico, "King Kong" sì. Sarà perchè ha abbassato il target di riferimento grazie a un gorillone gigione che s'innamora e ha dei tratti così umani da far dimenticare la vera Bestia. Sarà per le battute divertenti di alcuni personaggi, o per lo sguardo di curiosa scoperta del marinaio Jamie Bell che legge, guarda un po', "Cuore di Tenebra". Sarà, ma "King Kong", che è uno spettacolo appunto grandioso, ha rinunciato a parecchi sottotesti, presenti nell'originale ed amplificati nel sequel di De Laurentis, allontanandolo dal beast-horror che, se per molti poteva essere riduttivo, in realtà poteva conferirgli i crismi migliori.
Niente da discutere sulle scene d'azione. Robe mai viste, come un'orgia di Brontosauri così in carne, una funambolica lotta tra le liane tra un gorillone e due T-Rex, per non parlare delle sequenze più specificamente orrorifiche, come l'arrivo al grande muro, la fossa dei ragni giganti (con la bella e agognata morte di Andy Serkis/Lumpy). Tutto questo è un grande spettacolo visivo, ed è anche quello che chiediamo quando paghiamo il biglietto. Ma tutto quel digitale elimina l'immaginazione. Quel Kong è così fluido da non sembrare né vero né finto, ma virtuale, che è un'altra cosa, più meschina, più posticcia. Il digitale non sa rendere l'emozione plastica della stop motion, insuperata ed insuperabile. Questo è, in ultimo, il male maggiore del film, l'incapacità di evidenziare con gusto cinematografico la presenza del fantastico, dell'impossibile, del terrificante e dell'horror, genere a cui originariamente il mito di King Kong appartiene. Rimane un grande film, che gioca con il cinema, e non solo per le citazioni, ma anche per lo sguardo: quello dei poveri personaggi davanti a Kong, simbolo di tutto quello che hanno dentro e che non riescono a dire, cosa che fa appunto il cinema.

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