Regia di Sabiha Sumar vedi scheda film
1979, il Pakistan è alle soglie della svolta islamica radicale. La vedova Aisha, che vive con l’adorato figlio farfallone Salim, è funestata da oscuri ricordi del ’47, quando il Pakistan era diventato una nazione indipendente per gli indiani musulmani. La situazione precipita quando Salim si lascia irretire da alcuni cattivi maestri fondamentalisti, e l’arrivo di un pellegrino sikh straniero svelerà il segreto di Aisha. Il film di Sabiha Sumar, che è nata a Karachi nel ’61 ma ha studiato cinema a New York nei primi anni ’80, ha vinto il Pardo d’oro due anni fa a Locarno, insieme al Premio per la migliore attrice (Kirron Kher). L’inizio, con qualche accenno vagamente Bollywood e qualche eco delle saghe familiari alla Ray, prometteva di più. Invece è un film di semplice e didascalico realismo, con una struttura solida e tradizionale, che punta tutto sull’impatto e l’attualità di una storia non troppo nota (il destino delle donne indiane dopo l’arrivo dei musulmani nei villaggi del Pakistan). Senza sconvolgere, e con un incedere e degli sviluppi un po’ prevedibili, ma con una buona tenuta narrativa.
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