Regia di Dick Powell vedi scheda film
Sam Hurley e il complice Bart Moore evadono dal carcere di Carson City. Nella fuga Bart rimane gravemente ferito (ha una pallottola in pancia). Aiutati da un terzo complice, Dummy, fuggono su una Ford verde del ’41. Giunti a una stazione di servizio, ucciso il titolare e cambiatisi d’abito, i tre abbandonano l’auto. Quindi prendono in ostaggio Kay Garven, moglie del chirurgo Neal Garven e il suo amante, l’assicuratore Arthur Asthon, fermatisi al medesimo distributore per fare rifornimento. In questo modo Hurley è sicuro di depistare le ricerche: “I poliziotti non cercano cinque persone.” Scoperto che il marito di Kay è un medico, Sam decide di contattarlo e gli chiede di raggiungerlo per operare l’amico, sotto la minaccia di uccidere la moglie: “Giochi pulito e avrà una moglie, faccia il furbo e avrà un cadavere!” Ben presto però il gruppo rimane senza benzina. Servendosi di Kay, Hurley fa fermare l’auto guidata dal giornalista “cacciatore di scoop” Larry Fleming, chiamato a scrivere un articolo proprio sulla fuga del criminale (“Ti aiuterò a reperire il materiale.” ironizza Sam), dopo aver rinunciato a raccontare un test atomico nella zona (“Vista un’atomica, viste tutte.”) Larry è in viaggio in compagnia di Dottie Vale, ballerina in locali notturni a cui ha offerto un passaggio verso Reno. Il gruppo così composto si dirige verso Lost Hope City, una vecchia città ormai abbandonata, in pieno deserto, un tempo al centro di una fiorente industria mineraria. Hurley e Moore devono infatti incontrarsi con un altro complice, Johnny, per recuperare mezzo milione di dollari, frutto di una vecchia rapina ad un portavalori. Proprio nelle vicinanze della città è però previsto un test atomico che raderà al suolo Lost Hope City.
Esordio alla regia per l’attore Dick Powell, “Prigionieri della città deserta” è un classico B-movie RKO stringato ed avvincente. Prima parte migliore e più accattivante con le distinte vicende (la preparazione per l’esplosione della bomba atomica e l’evasione dei due criminali, anticipata sui titoli di testa che scorrono sull’ombra dei due uomini in fuga) e i diversi personaggi coinvolti che progressivamente trovano un punto di contatto. Quando poi il gruppo si ritrova alla città deserta “con un’arma puntata addosso ed un’imminente esplosione atomica” (sono le parole di Dottie, uno degli ostaggi), l’intreccio si fa più consueto e canonico e forse un tantino forzato (la vicenda del medico non manca di qualche elemento di improbabilità, il personaggio di Arthur Hunnicutt, fresco di nomination all’Oscar per “Il grande cielo”, qui nei panni dell’unico abitante rimasto a Lost Hope City, Asa Tremaine, compare all’improvviso, è piazzato un po’ a caso e non pare indispensabile ai fini del racconto).
La sceneggiatura, firmata da William Bowers e Irving Wallace, da un soggetto dello stesso Wallace e di Chester Erskine, però riserva qualche piacevole sorpresa. Il rapporto di grande amicizia tra i due fuggitivi, per esempio. Lo spietato bandito Sam (un convincente e roccioso Stephen McNally, una spanna sopra tutti in un cast per il resto piuttosto ordinario), reduce di guerra capace di uccidere a sangue freddo, non ha alcuna intenzione di abbandonare al suo destino il complice Bart, pur ridotto male e consapevole di essere un peso per l’amico tanto da suggerirgli di proseguire da solo nella fuga. “Abbiamo iniziato insieme e finiremo insieme!” è la sicura affermazione di Sam che non dimentica il fatto che, in passato, l’amico aveva rinunciato alla sua libertà, pur di non accusarlo (e Bart non è pentito di avere agito così, fedele al motto per cui “Nessuno frega nessuno!”). Sam è pronto a portarlo con sé anche nell’ultima disperata fuga, nonostante Bart, poco prima, gli avesse puntato contro la pistola, minacciando di ucciderlo se avesse fatto del male agli ostaggi.
Curiosi anche i due personaggi femminili. Da un lato Kay Garven se la spassa con l’amante, lontano dal marito medico da cui sta divorziando e a cui fa presente: “Ci vuole un tipo speciale di donna per un dottore. Sono giovane e ricca, non voglio passare le giornate a casa.” Viziata, egoista e borghese, inizialmente crede di poter comprare Sam con un assegno, dimentica in fretta l’omicidio dell’amante e chiede al bandito di fuggire con lui, “pur di uscire viva di qui.” Degli altri ostaggi non si fa alcun problema: “Fanne ciò che vuoi, non mi importa.” Senza scrupoli, superficiale e determinata, disinvolta e supponente (“Lei deve essere abituata a uomini come lui!” dice con strafottenza a Dottie), è una donna non “abituata a prendere ordini!”. Rimane sorpresa dall’arrivo imprevisto del marito, a cui in un momento di confidenza, chiede di riprovare a tornare insieme. L’uomo, però, pur ancora innamorato della moglie e ben consapevole delle sue debolezze, non ha più alcuna intenzione di subirle. Così, quando Sam si dà alla fuga, terrorizzata dall’idea dell’esplosione, Kay abbandona tutti e salta sull’auto dei criminali per andare con loro incontro ad un tragico destino.
Dall’altro lato Dottie Vale. Di umili origini, così descrive ironicamente la sua “infanzia felice: mia madre riteneva gli uomini una grande invenzione e mio padre era molto stimato dai contrabbandieri di liquori.” Dotty ha imparato a lavorare piccolissima (“Chi ha mai studiato?” dice a Larry), vendendo giornali e spalando neve. Senza soldi tanto da non riuscire a pagarsi nemmeno un caffè e una fetta di torta, mentre si incammina a piedi per il deserto in direzione Reno dove fa la ballerina, Dottie recupera un passaggio dal giornalista Larry (“Meglio essere importunate che perdersi.” è il commento della ragazza). Larry, non insensibile al fascino di Dottie, ha pagato il suo conto al bar, ne ha già conosciuto il carattere cocciuto e orgoglioso (anziché ringraziarlo, dopo che le ha evitato di lavorare in cucina per saldare il suo debito con il barista, dice in modo diretto al giornalista “Con quei soldi non comprerà niente!”, facendo subito capire di che pasta è fatta) ed è disposto ad accompagnarla verso Reno, andando nella stessa direzione. Senza peli sulla lingua e brillante, Dottie è brava a tenere testa a Sam (“Risparmi quel tono per la divorziata. So tenere a bada uomini come lei!”), respinge le sue avances (“Ti dai da fare con tutte.” gli rinfaccia quando l’uomo le propone di fuggire insieme), ed è dotata di un gran senso dell’umorismo (“Dovremo fondare un club!” dice a Kay, dopo il tentativo di seduzione di Sam). La sua semplicità e onestà si contrappongono all’opportunismo meschino e alla falsità di Kay.
Notevole, per i tempi, la sequenza dell’esplosione atomica e la visione della città deserta rasa al suolo. Inquietante infine quel conclusivo “Diamo uno sguardo al mondo di domani.” pronunciato dal dottore Garven, rifugiatosi con gli altri ostaggi in una miniera, dopo l’esplosione, con le immagini del fungo atomico a chiudere il film. Ed è una coincidenza a suo modo sinistra ed angosciante il fatto che il secondo film da regista di Dick Powell, “Il conquistatore” con protagonisti John Wayne e Susan Hayward sia stato girato in un’area utilizzata per test atomici. Negli anni successivi ben 91 membri della troupe di quel film, tra cui il regista e i protagonisti, morirono di cancro. Così si legge su wikipedia: “Il dr. Robert Pendleton, professore di biologia all'Università dello Utah, ha dato una sua personale opinione: «Con questi numeri, questo caso potrebbe considerarsi come una epidemia. Stabilire una connessione tra le radiazioni e la ricaduta nel cancro nei singoli casi è praticamente impossibile, non porta a nulla di conclusivo. Ma, all'interno di un gruppo di queste dimensioni, ci sarebbe da aspettarsi solo una trentina di casi di cancro... penso che il legame alla loro esposizione sul set di Il conquistatore potrebbe essere sostenuto in tribunale».”
Voto: 6/7
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