Regia di Harold Clurman vedi scheda film
Tonalità cupe, tenebrose. Musica dissonante. Un’ombra minacciosa che sale lentamente le scale sotto i titoli di testa, bussando con insistenza ad una porta. La donna cadavere si sveglia di botto, non più cadavere, e corre ad aprire. No, Sleepy Parsons non è ancora morto d’infarto (ma probabilmente le sue ore sono contate) nonostante i suoi venti sigari giornalieri.
Nel regno dell'ossessione più profonda, dove anche un “buongiorno” ha il sapore di un “arrivederci”, una vicenda a tratti claustrofobica si snoda nervosamente nel bel mezzo di un’atmosfera ambiguamente equivoca in una corsa con scadenza all’alba in cui anche i vincenti sono accreditati sul traguardo d’arrivo dello stesso tempo dei perdenti, in un arido contesto in cui tutti sono colpevoli ma allo stesso tempo anche innocenti e dove non esiste anima che non abbia i suoi scheletri più o meno nascosti in un simbolico armadio relegato nell'angolo più buio della propria coscienza.
Personaggi che sembrano muoversi come tanti meccanismi impazziti, del tutto restii a rassegnarsi alle frustranti condizioni poste loro da un destino beffardo ma che non riescono a trovare la giusta via di fuga in un mondo pervaso dal cinismo e da una fredda indifferenza, in cui il NERO appare l‘unico colore possibile in grado di dominare la scena e di dettare le eventuali condizioni di resa incondizionata.
Personaggi già di per sé perdenti che si trovano tutto d’un tratto invischiati nella ragnatela di un fato imponderabile e balordo che sembra non essere mai pago di succhiare la linfa vitale delle povere creature metropolitane che vanno e vengono un preda ad una sorta di delirio come neri puntini in una notte densa di sorprese e colpi di scena a ripetizione.
E quel che ne deriva è un’appassionante e frenetica corsa contro il tempo, accreditata di un ritmo frenetico e di un notevole senso di suspence.
In altre parole il mondo del grande Cornell Woolrich che viene riprodotto con fedeltà assoluta, un mondo sempre pervaso da una catena interminabile di incubi. Il mondo di un artista martoriato dai sensi di colpa, che rivive nella realtà le sue perenni ossessioni trasposte fedelmente sulla carta in maniera quasi schizofrenica, in un’eterna lotta tra il bene ed il male, in cui raramente il primo finisce per prevalere, e quando ci riesce è sempre per il rotto della cuffia (Si parte alle sei, La donna fantasma, L’angelo nero), dove la nemesi acquista quasi un valore di sacralità (La notte ha mille occhi) e dove il peso della vendetta intesa come valore assoluto predomina sempre sulla bilancia (Appuntamenti in nero, La sposa in nero), alimentato a volte da figure femminili implacabili e quasi demoniache (Vertigine senza fine).
Il misconosciuto regista Harold Clurman imbastisce da una sceneggiatura di Clifford Odets e da un romanzo appunto di William Irish, alias Woolrich, “Si parte alle sei” una vicenda accattivante a chiaro sfondo poliziesco, scegliendo nel contempo di evidenziare le varie sfaccettature psicologiche dei personaggi, tra cui una strepitosa Susan Hayward, servendosi a volte della trama come mero pretesto per svolgere una precisa ed accurata analisi sul sostrato sociale di una metropoli senz’anima, tetramente notturna, ed aliena, ma soltanto in apparenza, da qualsiasi minima parvenza di calore umano e trasporto interiore.
I numerosi primi piani testimoniano l’ansia del regista di passare al setaccio le pieghe dei volti pervasi da malessere vitale in un’ansiosa ricerca di segni illuminanti in grado di manifestare un’irriducibile volontà di dignitosa sopravvivenza, una voglia di scavo continuo nei meandri delle rispettive miserie morali e materiali. In definitiva “Deadline at dawn” può essere tranquillamente definito “un noir dal volto umano”, tesissimo, intricato, imprevedibile, una continua corsa frenetica contro il tempo ed anche uno spaccato di eloquente e tangibile umanità a dimostrazione che anche nel marciume più radicato uno sprazzo di vivida luce riesce talvolta a venire a galla.
E sembra quasi impossibile, eppure anche nel mondo woolrichiano, dove i buoni che sono sempre buoni ed i cattivi che sono sempre cattivi quasi si sovrappongono e si confondono tra loro e dove il peso dell’oppressione interiore continua a schiacciare le anime senza possibilità alcuna di scampo, di tanto in tanto scocca quasi in sordina la scintilla della redenzione. Con conseguente pagamento della relativa cambiale di colpa. Con scadenza all'alba.
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