Regia di Roberto Faenza vedi scheda film
Escalation, ovvero quando Roberto Faenza provava a graffiare la borghesia. La strada era quella tracciata da Marco Bellocchio con I pugni in tasca, ma con un'ottica al tempo stesso più buffonesca e cosmopolita, secondo l'estetica e le mode affiorate con il Sessantotto (e dintorni).
Il giovane Luca Lambertenghi (Lino Capolicchio), infatti, si presente in scena in bicicletta con un sitar - strumento all'epoca appena sdoganato in occidente dai Beatles - a tracolla. Il rampollo della famiglia industriale dei Lambertenghi vive a Londra, secondo una religione che è un mix tra buddismo e induismo. Riportato a casa dal padre (Gabriele Ferzetti), si rivela totalmente inetto e disinteressato a guidare l'azienda di famiglia. Quando il genitore lo mette nelle mani di una bella psicotecnica (Claudine Auger), che lo riporti sulla retta via, il giovane prima se ne innamora e poi la sposa. A questo punto è la donna a tentare l'escalation in azienda ai danni del vecchio industriale, cercando di farlo estromettere dal figlio Luca, che ormai lei controlla come un burattino. Tuttavia, Lambertenghi senior, come tutti quelli della sua pasta, ne sa una più del diavolo e riesce ad aizzare il figlio contro la nuora. Il rampollo uccide la moglie e ne fa sparire il cadavere, dopo di che rientra in seno alla famiglia, con la quale celebra un bel funerale. E vissero tutti felici e contenti.
Il film d'esordio di Faenza non è certo un capolavoro e sia nella sua impostazione che nell'estetica - al netto della bella fotografia di Luigi Kuveiller - denuncia un precoce invecchiamento, sebbene si possa riconoscere al regista torinese un impeto, una passione e un'urgenza espressiva che solo raramente ha saputo ritrovare negli ultimi anni. In questo senso, dal punto di vista cinematografico nel suo complesso, è facile riconoscere che, rispetto agli esordi, Faenza ha fatto passi da gigante all'indietro.
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