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The Island

Regia di Michael Bay vedi scheda film

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La recensione su The Island

di lussemburgo
8 stelle

Michael Bay, seppur capace di avere grande successo con film roboanti e vacui (Bad boys, Pearl Harbour, Armageddon, The Rock), è sempre stato un regista fuori tempo massimo. Lo stile patinato, la moltiplicazione delle inquadrature, la rapidità di montaggio che fa perdere la visione d'insieme, la colonna sonora roboante, la predilezione per esplosioni pirotecniche e per dialoghi mai più lunghi di poche sillabe fanno di lui un emulo dello stile pubblicitario molto in voga negli anni '80 e ormai del tutto superato. Eppure sono proprio questi difetti che rendono per lo meno attraente il suo ultimo film.
The island sfrutta nella prima parte la tendenza di Bay ad inquadrature patinate per ricostruire l'ambiente asettico e high-tech della colonia di cloni, per poi lasciare libero sfogo a fughe e sparatorie in cui si evidenzia tutto il mestiere del regista. Inoltre la superficialità delle psicologie si addice alla limitata sensibilità dei cloni, mantenuti intellettualmente ed emotivamente ad un livello infantile per evitare complicazioni.
Ambientato in un futuro prossimo, The island non è né figurativamente né tematicamente molto nuovo, anzi è largamente debitore di molto cinema precedente, primo tra tutto de L'uomo che fuggì dal futuro di Lucas (di cui mutua soggetto e scelte scenografiche), dei Matrix (i bozzoli per la crescita accelerata, l'inseguimento sull'autostrada), Gattaca, Minority report, 1984 e di altri vari riferimenti al cinema di anticipazione; inoltre si avvale di ottimi effetti speciali, soprattutto nella contaminazione tra architetture reali e proliferazioni digitali, e di un buon livello interpretativo.
L'attualità del tema della clonazione e delle relative implicazioni morali (sebbene più suggerite che sviluppate) finisce per dotare il quadro generale di una cornice di un certo interesse.
Vivi di riflesso come surrogato organico delle matrici del loro DNA, i cloni esistono anche nel abbaglio del desiderio di fuga, imbrigliati dalla grande menzogna, moltiplicata dagli schermi tv, di un'apocalisse recente a cui sono miracolosamente scampati. Come semplici passivi spettatori tv, aspettano il giro di boa del caso allettati da un sogno inarrivabile, il momento di fama effimera di una vittoria aleatoria, coadiuvati da un grande fratello tecnologico che vuole mascherare, alle loro tarpate coscienze, il grande fardello morale della ragion d'essere di quel sottomondo. L'unica loro ambizione è la possibilità di vincere il viaggio sull'Isola, ultimo paradiso terrestre incontaminato, estratto a sorte per i più fortunati in un lotto macabro attraverso cui si cela l'espianto di parti del corpo, ragione prima della loro esistenza. Il punto debole della limitazione intellettuale dei cloni è una certa umana tendenza alla curiosità, un errore di fabbrica che porta alcuni di loro a non viver solo come disciplinati bruti ma ad inseguire risposte e conoscenza. Ed è quando lo spettatore rifiuta la passività che il meccanismo coercitivo si spezza, quando una richiesta di pari dignità dai paria cromosomici si fa istanza che l'intero girone degli omozigoti implode.
L'insistenza sulla ripetizione del messaggio come veicolo unico di verità, la tracotanza del denaro che porta i possidenti a permettersi parti di ricambio in un tentativo di immortalità che superi i naturali limiti umani, l'arroganza delle milizie pronte a marginali danni collaterali, la visone in tv di un presidente definito "stupido" e che ha lo stesso volto di chi ha impresso nella limitata memoria dei cloni il condizionamento dell'inganno (la frottola della fine del mondo civile) inseriscono di diritto questo divertente giocattolone tecnologico nel nostro tempo, conferendogli spessore e un'aura critica, insperata nell'ambito hollywoodiano.

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