Regia di Jan Kounen vedi scheda film
Vagamente ispirato al Blueberry fumetto, quella perla inventata da Moebius, il film conferma quello che dopo Dobermann già sospettavamo. Il regista Jan Kounen fa solo danni. Non solo si serve di un bellissimo personaggio - che peraltro, nell’interpretazione di Vincent Cassel, se solo fosse stata più misurata, poteva davvero “rivivere” - per parlare di tutt’altro (sciamanesimo, viaggi lisergici) ma oltretutto lo fa con una tracotanza estetica che lascia storditi. Blueberry è un delirio, ma non in senso buono. È come la voce grossa di un politico populista, una specie di cinema forcaiolo che infierisce sugli occhi degli spettatori con inaudita violenza visiva. Fine a se stessa, naturalmente, e speriamo non sia il caso di dover spiegare in quale senso non letterale usiamo il termine “violenza”. Esilissima la storiella: un killer che ha sbagliato film, pensando di essere ancora tra le iene, mette a ferro e fuoco la città dove Blueberry fa lo sceriffo. In verità cerca una specie di tesoro indiano, e siccome il nostro eroe vive in una sorta di estasi sciamanica che molto lo avvicina al popolo rosso, la questione tra i due diventa non solo personale ma di “razza”. Per tirar fuori questo film Kounen dichiara di aver visto - bontà sua - «almeno 70, 80 western classici per imparare le regole». Ma si può “imparare” il western?
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