Regia di Jan Kounen vedi scheda film
Documentandomi sul curioso titolo di questo particolare lungometraggio, "Blueberry", mi domando quale mai sia il filo conduttore del nome del protagonista, "mirtillo", con un film western omonimo così mistico. Chissà! Tratto dai fumetti del maestro francese Jean Giraud, considerato una vera istituzione dell'illustrazione di genere fantastico fantascientifico. Prende vita dalla mente (malata) del regista transalpino Jan Kounen un western diverso e visionario, per certi aspetti ostico soprattutto dalle mie prime impressioni, ma oggettivamente degno di nota. Lo scapestrato giovanotto Mike Blueberry (Hugh O'Connor), trasferitosi nel villaggio di Palomito per volere dei genitori. Viene affidato allo scorbutico zio per lavorare nel ranch. Ben presto il ragazzo, innamoratosi della bella e giovane prostituta Madeleine (Vahina Giocante), farà la conoscenza macabra del malvagio fuorilegge Wollace (Michael Madsen). Per Blueberry quella esperienza si rivelerà traumatica, i demoni interiori torneranno a tormentarlo anche in età adulta.. Riuscito comunque a sfuggire dalle fiamme del bordello, ferito impaurito e disorientato nel bel mezzo del deserto, lo sventurato Mike troverà salvezza grazie alle cure di uno Sciamano capo della tribù indiana dei Chiricahua (Guillermo Arévalo). Che, tramite il rito dell'iniziazione, darà sollievo allo sconforto e alle paure interiori del ragazzo.
Lo sciamanesimo nella cultura indiana.
Gli indiani d'America con la loro cultura non finiscono mai di affascinare il cinefilo più esigente, me compreso. La loro è una religione "ultradimensionale" che la si può praticare solo attraverso l'assunzione di potenti preparati lisergici. Un vero e proprio rito che deve sapere ascoltare e rispettare l'universo naturalistico di tutto il creato. Il film non riserva niente di speciale, a parte una regia virtuosa e complessa piuttosto opinabile, considerando il genere western e in molte circostanze un po' troppo "pomposa". Ma è il finale che contiene le migliori aspettative costituite da elucubrazioni allucinogene indotte dalla sostanza rituale. il nostro protagonista dunque trascorre un po' di tempo con i Chiricahua. Imparando un po' di cose sulla cultura indiana e facendo amicizia con Runi (Temuera Morrison), il figlio dello Sciamano. Il tempo passa e Blueberry (Vincent Cassel), diventato sceriffo deve amministrare il villaggio.. I problemi non tardano ad arrivare, il ricco proprietario terriero G. Sullivan (Geoffrey Lewis), infatti è determinato più che mai ad organizzare una spedizione esplorativa nelle Montagne Sacre in pieno territorio Chiricahua. Si vocifera che quelle montagne siano piene d'oro, e Blueberry sa che i contrasti fra indiani e gli avventurieri si faranno imminenti.. Nel frattempo si è accorto, in ritardo, delle particolari attenzioni che la figlia di Sullivan, Maria (Juliette Lewis) ha in serbo per lui.. Ma il peggio deve ancora venire. Anche il suo acerrimo nemico il ranger Wollace cerca le Montagne Sacre, cerca però un altro tesoro meno "materiare".. Inoltre i demoni interiori dello sceriffo tornano alla mente. Blueberry deve assolutamente consultarsi con l'amico Runi.
Blueberry è un western diverso, di matrice sperimentale, che invita lo spettatore ad una riflessione alla riscoperta del proprio io interiore. Il suo sermone sa esorcizzare i demoni che risiedono in noi. Ma non è tutto oro quello che luccica e sostanzialmente le pecche più evidenti del film sono due: la prima, quella meno contestabile, dovuta a un inizio molto simile ad un altro western, quello di Jim Jarmusch, il bellissimo "Dead Man". La seconda, quella più evidente e che si manifesta purtroppo quando viene riscontrato un basilare handicap narrativo. Cioè l'errore di mettere troppa carne al fuoco andando spesso fuori contesto di trama. Mi spiego meglio, se ci riesco, il principale evento che caratterizza una storia non deve mai passare in secondo piano o essere offuscato. Non deve mai essere sfruttato e usato come alibi per ramificare la storia in tante altre sottotrame divergenti, anche se non è propriamente questo il caso. Ad esempio un paragrafo importante della trama che non viene affatto approfondimento è quello dell'ossessione di Wollace per il potere occulto custodito segretamente dalle Montagne Sacre. Il problema sta nel fatto che non solo questo aspetto venga appena abbozzato, ma serve come trampolino di lancio per raccontare altro, per permettere alla trama di rimodellarsi a proprio vantaggio. Questo è un grave errore di sceneggiatura, perchè si creano delle forzature che stonano e non rendono lineare e precisa la trama e sono sbagli che si manifestano quando si vuole esagerare o rimediare. È una variabile costante che cottradistingue i film mediocri, per fortuna in questo caso il regista trova il rimedio per metterci una pezza, utilizzando soluzioni originali che ho in parte apprezzato.
E quando nel finale vengono sconfitti i demoni interiori.. è solo in quello specifico frangente che avverrà il perdono del peccato. Quel peccato pungunte e doloroso fino a quel momento dimenticato, che distorge la vista dell'amore. Quell'amore atteso che non vediamo e non riconosciamo e che circonda il nostro universo emotivo e che protegge solo se lo vogliamo.. Come non dimenticare poi oltre ogni cosa la visione sfuggente e sublime, forse metafisica, della Patonza della Lewis che ci dona molta speranza e gratitudine per essere partecipi viventi di questa vita terrena ma spirituale.
6/10
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