Regia di Gregor Jordan vedi scheda film
Scritto e diretto dall’australiano Gregor Jordan sulla base di un omonimo romanzo di Robert O’Connor, Buffalo Soldiers ha una storia distributiva molto travagliata: avrebbe dovuto fare la sua apparizione nelle sale statunitensi poche settimane dopo gli attentati alle Torri Gemelle, ma il suo contenuto ben poco patriottico ne ha portato alla posticipazione e alla fine il film non ha mai trovato una collocazione ottimale o una giusta promozione. Capire perchè l’America post 11/9 non avrebbe potuto accettare facilmente un film come questo, è facile: bastano semplicemente i primi quindici minuti di film.
“La mia più grande paura è cadere come una bomba” pronunciata dal soldato Ray Elwood, all’inizio del film, ha dei rimandi al quotidiano di ogni popolo e nazione: dall’attacco aereo al World Center, agli ultimi causati dai kamikaze, ormai in ogni parte del mondo. Tra l’altro c’è molto di più in questo film, a cominciare dalla terra in cui si svolgono i fatti, la Germania dell’Ovest, e l’anno, il fatidico 1989. Alla caduta del sistema di allora, se ne accompagna un altro, quello della più grande potenza economicamente guerriera.
Ray è un soldato di stanza in una base statunitense in suolo tedesco. Non è nell’esercito per convinzione, ma solo perché l’arruolamento era l’unica alternativa alla detenzione per furto d’auto. In realtà Ray continuerà a fare i suoi comodi, comprando e vendendo prodotti al mercato nero, raffinando droga e fornendola agli spacciatori della base. Fatta la divisa un accessorio, la vita di Ray sembra perfetta, fino a quando nella base non arriva un nuovo sergente che deciderà di raddrizzare lui e i suoi compagni, con l’uso di ogni tipo di forza.
Due sono principalmente i tipi di uomini arruolatisi nell’esercito: “c’è chi lo mette e chi lo prende”; quattro, invece, quelli descritti nel film: quelli come Ray, che si arruolano per necessità o per mancanza di alternative, che non sanno (né importa loro tanto saperlo) il perché sono lì, tanto meno cosa significhi essere soldati. Poi ci sono i ragazzi che concepiscono il tutto come un gioco, compresa la guerra, causando distruzioni e grandi stragi, pur di far fronte alla noia e all’assenza di punti di riferimento, per cui fanno uso di droga,di alcool, ecc. Della terza categoria fanno parte gli alti ufficiali, tra cui un frustrato colonnello (fantastica interpretazione di Ed Harris), anch’egli un incapace a trasmettere i valori di una professione, ormai divenuta il “rifugio peccatorum” per tanti giovani che non hanno altra scelta lavorativa. Non mancano, infine, quelli come lo spietato sergente incarnato da Scott Glen. I veri soldati. Gente che è nell’esercito perché ha la violenza, le armi, il conflitto, nel sangue, che trova il pretesto di una divisa per poter uccidere legalmente.
E’ terribile l’immagine generale che si ricava da questo film, non solo dell’esercito, ma soprattutto dell’America in generale, la cui bandiera è calpestata fin dalla prima sequenza del film, quando Jordan ci mostra soldati che marciano sulle stelle e strisce. A questo si aggiunga tutto ciò che accade al di fuori della caserma: la caduta del muro, a Berlino, con la quale si decreta un enorme cambiamento del mondo. Ma chiunque, all’interno delle quattro mura di quella caserma, ignora l’avvenimento.
Con uno stile grottesco ed esasperato, facendo del vero western, il regista racconta in modo sapiente dell’”unica battaglia contro la noia”, la sempre e la solita combattuta dalle grandi potenze, senza preoccuparsi della morte di milioni di persone.
Quando si è convinti che “la pace è sempre e solo una rottura di palle”, non ci sono vinti o vincitori che tengano. D’altronde, anche Nietzsche affermava che “in tempo di pace l’uomo guerriero attacca sé stesso”. Tutto ciò è tutt’altro che film: è la realtà di ogni giorno.
Giancarlo Visitilli
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