Regia di Uli Edel vedi scheda film
Bando ai commenti moralistici che, all'epoca dell'uscita del film, si sprecarono (in Italia fecero la loro parte di parrucconi, tra gli altri, Kezich e Grazzini), va detto che il film, seppure sceneggiato, interpretato, montato (altrimenti che film sarebbe?), rispecchia la squallida odissea di tanti giovani che negli ultimi quarant'anni hanno concluso le loro esistenze in posti squallidi, come bagni pubblici, stazioni ferroviarie e della metro, con un ago infilato nel braccio. Per non parlare di quei tanti che sono morti con l'aids, anche quando la malattia non aveva ancora un nome. La prima parte del film di Edel, quella che prelude alla tragedia, è la più riuscita, con questa ragazzina di famiglia tutto sommato borghese, seppure quasi inesistente, che passa dalla tranquillità dell'appartamentino con ascensore al retro della stazione dello Zoo, dove i tossicodipendenti si prostituiscono - per sé o per conto terzi, come fa la povera Babette - per racimolare i soldi per la dose giornaliera di "ero". Nella seconda parte del film, purtroppo, entra in gioco l'incapacità degli attori principali, tutti non professionisti, di dare corpo e anima ai tormenti del drogato in crisi d'astinenza. In questo senso proprio Natja Brunckhorst, che peraltro sarà l'unica ad avere una qualche carriera d'attrice (l'abbiamo rivista in "Querelle" di Fassbinder), dà scarsa credibilità al suo, che è il personaggio principale: ad un certo punto la vediamo truccata da tossica all'ultimo stadio, ma non c'era bisogno di conciarla come la Linda Blair dell'"Esorcista". Buona, comunque, la descrizione di una Berlino livida, illuminata nella notte dall'informe simbolo della Mercedes.
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