Regia di Robert Wiene vedi scheda film
Sceneggiato dal praghese Hans Janowitz e dal grande Carl Mayer (autore fra gli altri di "Aurora" e di "Berlino: sinfonia di una grande città"), austriaco, è il film espressionista per antonomasia. Le scenografie completamente e visibilmente dipinte a mano che ricreano in studio gli angoli della città incombono sghembe sui personaggi che si muovono in questo bianco e nero virato in ocra per le scene diurne e in azzurro per quelle notturne. Più della storia, già di per sé inquietante come un romanzo di Gustav Meyrink, intrecciato a fantasie hoffmanniane di professori che dominano automi e giovanotti che sgambettano tra viuzze dominate dall'alto da una burocrazia che di lì a qualche anno si chiamerà kafkiana (Franz Kafka morì nel 1924 e solo dopo il suo decesso ne fu disvelata la grandezza), contano le atmosfere che il regista, un autore all'epoca non di primo piano, sa ricreare, infondendo all'insieme un'aura spiazzante più che orrorifica. Gli omicidi non sono mai mostrati - anche se si fissa spesso lo sguardo sul coltellaccio impugnato da Cesare il sonnambulo - ma vi si allude per vie traverse, come saprà poi fare qualche anno dopo il Fritz Lang di M - Il mostro di Düsseldorf, un altro dei figli prediletti dell'espressionismo cinematografico. Inaspettatamente inserito nella top 250 dei migliori film di tutti i tempi dell'Internet Movie Database (in posizione 171), "Il gabinetto del dottor Caligari" lascia nella memoria i personaggi dell'ambiguo protagonista citato nel titolo e del povero sonnambulo Cesare (ma perché scegliere due italiani nel ruolo dei "cattivi"?), al tempo stesso vittima e carnefice della terribile vicenda. Ma restano nella mente e negli occhi soprattutto le fughe oblique, le porte trapezoidali, le scritte che appaiono per aria e i numeri e i simboli dipinti sui muri di Holstenwall. La recitazione risente un po' degli stilemi dell'epoca con molti teatralismi di troppo, ma forse questo modo di recitare fa risaltare con ancora maggiore evidenza la fissità dello sguardo del sonnambulo. Il finale ambientato nel manicomio, probabilmente voluto dalla produzione senza il consenso degli sceneggiatori, non sfigura né minimamente rovina l'insieme di un film assolutamente da vedere per rivivere il clima di un'epoca e per provare a rincorrere i fantasmi dell'anima tedesca, rosicchiata dall'umiliazione della Grande Guerra e pronta a dannarsi nell'avventura hitleriana.
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